di Lorenzo Ruffi.
“Sono qui, questa sera, pieno di fiducia nel fatto che nel 2022 ci riprenderemo la Camera dei rappresentanti e recupereremo il Senato e poi, nel 2024, un candidato repubblicano si riprenderà la Casa Bianca”. Tuonava così l’ex presidente Trump, l’Aprile scorso, ad una convention repubblicana nella sua villa a Mar-a-Lago, in Florida.
Nonostante la sconfitta elettorale dello scorso Novembre, seguita dalle tristemente note proteste dei suoi supporters che hanno sconvolto l’opinione pubblica americana e mondiale, il prestigio del tycoon presso la destra repubblicana sembra non averne risentito affatto, ma anzi appare oggi più forte di prima.
Quello che i politoligi definiscono “trumpismo”, ovvero quel fenomeno politico dai tratti schiettamente nazional-populisti, che strizza l’occhio alla democrazia illiberale e all’autoritarismo di cui si è fatto promotore Donald Trump durante i suoi quattro anni da presidente degli USA, è oggi apprezzato da un numero sempre più cospicuo di deputati repubblicani.
Il GOP, acronimo di “Grand Old Party”, è quasi sempre stato, durante la sua lunga storia, il punto di riferimento per la destra conservatrice americana.
L’ascesa nel 2016 di Trump e del suo nuovo modo di fare politica hanno completamente stravolto i cardini politici ed etici del Partito Repubblicano. Il culto del leader messianico, per dirla in termini weberiani, il costante riferimento al popolo come massa unica ed omogenea, in contrasto con elite apolidi e sradicate dal contesto nazionale di riferimento, sono temi che contrastano con la visione tradizionalmente conservatrice e borghese del GOP. Sono più valori che si accostano al post-fascismo sudamericano del dopoguerra, come il peronismo (come afferma Federico Finkelstein, nel suo studio intitolato “From fascism to populism”, pp. 35-37), che ai valori della politica tradizionale americana.
La travolgente propaganda anti-elitaria e populista, che ha portato il tycoon alla Casa Bianca, è opera di un personaggio fondamentale nelle logiche di questa “nuova destra” americana (chiamata infatti “alt-right”, destra alternativa), ovvero Steve Bannon.
Bannon, nominato “capo stratega” dopo le elezioni del 2016, è il più impoprtante ideologo del trumpismo e dell’alt-right americana. Stringendo contatti con i più importanti esponenti del populismo mondiale, ha permesso che questa nuova ideologia varcasse l’oceano e, con le dovute differenze da paese a paese, si affermasse un po’ in tutta Europa, facendo diventare Trump la figura di riferimento imprescindibile per la nuova destra populista.
Nel corso dei quattro anni passati alla Casa Bianca, il linguaggio del presidente ha iniziato a far presa su diversi esponenti repubblicani che non guardavano inizialmente di buon occhio al suo operato. La travolgente ascesa della nuova destra ha creato una vera e propria frattura all’interno del GOP, tra chi è ancora legato ai valori tradizionali conservartori, e chi invece ha deciso di abbracciare il trumpismo e continuare a seguire ciecamente l’ex presidente.
L’evento che ha acuito enormemente questa spaccatura è stato senza dubbio l’assalto a Capitol Hill del 6 Gennaio 2021 da parte dei manifestanti pro-Trump. Persuasi dalle parole del presidente sul fatto che l’esito delle elezioni sarebbe stato alterato da brogli elettorali per favorire il rivale democratico Joe Biden, centinaia di estremisti di destra hanno fatto irruzione nel tempio della democrazia americana per bloccare il processo di ratifica dei voti al Congresso, che avrebbe ufficialmente conferito all’altro candidato la presidenza degli Stati Uniti d’America.
Bloccato su ogni piattaforma social perché ritenuto diretto responsabile dell’evento, Donald Trump non ha mai preso le distanze da ciò che è avvenuto il 6 Gennaio, continuando ancora oggi ad affermare che le elezioni gli siano state rubate. Ma non è il solo. Un sondaggio condotto da Ipsos-Reuters afferma che il 56% dei repubblicani è convinto che ci siano stati brogli elettorali, mentre il 53% afferma che il tycoon sia ancora il legittimo presidente.
Per capire a che livello la manipolazione e la diffusione di notizie false e di teorie del complotto siano penetrate a fondo negli ambienti repubblicani, basta leggere un sondaggio condotto dalla piattaforma YouGov, in cui risulta che oltre il 73% dei repubblicani crede che le violenze di Capitol Hill siano state organizzate da manifestanti di estrema sinistra.
All’indomani del 6 Gennaio, nonostante lo sconvolgimento dell’opinione pubblica, appare chiaro che buona parte del GOP è pronta a perdonare le bravate dell’ex presidente e a seguirlo ancora fino alle future elezioni del 2024.
C’è anche chi si è fermamente opposto alla deriva populista del partito. Fra chi rimane ancorato alle posizioni conservatrici vi è l’ex vicepresidente Mike Pence. Considerato a lungo un fedelissimo di Trump, è finito in rotta di collisione con l’ex presidente poiché si rifiutò di bloccare il conteggio dei voti al collegio elettorale che avrebbe certificato la vittoria di Biden. Uno dei bersagli principali dei rivoltosi del 6 Gennaio era proprio lui, che, reo di aver così tradito l’America, avrebbe dovuto, agli occhi degli estremisti, essere impiccato pubblicamente davanti al Campidoglio.
Altro pilastro repubblicano che ha rifiutato in toto la deriva trumpista è Liz Cheney, conservatrice per eccellenza e figlia di Dick Cheney (vicepresidente sotto George W. Bush), recentemente espulsa dal GOP per i suoi attacchi contro il tycoon e per aver votato a favore del suo impeachment lo scorso gennaio.
La spaccatura in seno al partito repubblicano si riflette in maniera ancora più evidente nella variegata galassia della destra americana. Il fenomeno politico del trumpismo ha attecchito vigorosamente in quella che è definita la “deep America”, ovvero l’America rurale, lontana dai grandi centri abitati delle coste e legata a forme di tradizionalismo e conservatorismo politico lontane dal progressismo proposto storicamente dai Dem. In questa America il seme del trumpismo ha trovato un terreno estremamente fertile per piantare le proprie radici e germogliare. Le istanze populiste e scioviniste, dai tratti talvolta apertamente xenofobi, dell’alt-right hanno fatto enormi proseliti in queste zone; se andiamo ad analizzare la mappa dei voti delle presidenziali del 2020 appare chiaro che Trump ha stravinto in stati come Wyoming, Utah e Kansas, caratterizzati soprattutto da zone agresti e depresse economicamente. Se una parte, di estrazione perlopiù borghese e cittadina, è rimasta fedele agli storici ideali del GOP, l’altra parte, di estrazione rurale, se n’è decisamente allontanata.
Il fascino delle teorie trumpiane è alimentato anche dalla manipolazione e diffusione delle cosiddette fake news, notizie false senza alcuna prova empirica, che vengono fatte passare per veritiere dai media e dai social network, al solo scopo di denigrare gli avversari politici o di distorcere la realtà ai fini del leader. Fondamentali, in questo senso, si sono rivelati i vari social network (Telegram, VK, 4Chan) e l’emittente televisiva Fox News, da sempre schierata politicamente a destra, e che recentemente ha abbracciato in toto il trumpismo. Dunque, è su queste piattaforme social che si è creata una vera propria galassia dell’alt-right, popolata spesso da gruppi violenti e sciovinisti, in cui le notizie false e le varie teorie del complotto trovano ampissimo spazio.
Il mondo dell’ultra destra americana, di cui Federico Leoni ci offre un ottimo ritratto nel suo libro “Fascisti d’America”, ha ritrovato dopo anni un leader che porti avanti le sue istanze. Spesso relegati a votare di convenienza un candidato repubblicano che ai loro occhi era la fotocopia del democratico (pp.176), con l’ascesa dell’ex presidente hanno trovato un profilo ideale in grado di dar loro finalmente voce. Aderenti alla rete cospirazionista QAnon, i suprematisti bianchi neo-confederati, Proud Boys, e altre formazioni paramilitari sono scese in campo il 6 Gennaio nel disperato tentativo di sovvertire la democrazia americana e di confermare il loro leader alla guida degli Stati Uniti.
La spaccatura della destra statunitanse in due blocchi appare dunque oggi insanabile. Alla vecchia destra conservatrice, rimasta in minoranza, si sta sostituendo prepotentemente la nuova destra populista; è un fenomeno che, se guardiamo attentamente, non si sta consumando solo negli States ma anche nel Vecchio Continente. In Europa si sono infatti radicati molti movimenti, i cui substrati culturali e politici derivano più o meno direttamente dal trumpismo, come il “ Front National” in Francia, “ Fidesz” in Ungheria, AFD in Germania e la Lega in Italia.
L’inarrestabile ascesa del trumpismo ha rotto le regole della politica americana introducendo in essa un nuovo approccio irriverente ed arrogante, poco avvezzo alla democrazia e ai fondamenti su cui si regge da secoli la potenza americana.
L’eredità di Donald Trump non può essere semplicemente nascosta sotto un tappeto, ma rappresenterà ancora per molto un problema con cui la politica statunitense si dovrà confrontare.
Il fallimento del secondo impeachment ai danni dell’ex presidente gli permetterà, salvo futuri colpi di scena, di ricandidarsi per le presidenziali del 2024.
E’ molto probabile che, in una partito repubblicano sempre più plasmato a sua immagine e somiglianza, si possa procedere verso una completa epurazione dei membri della “vecchia guardia”, ostili fermamente al trumpismo. Non sarebbe da escludere invece una scissione all’interno del GOP proprio ad opera di quei senatori repubblicani, come la Cheney e Mitch McConnell, che vorrebbero ritornare al glorioso passato del “partito di Lincoln” e riabbracciare i temi cardine della politica conservatrice: tagli fiscali, deregulation, sicurezza nazionale. Solo le prossime elezioni di Midterm potrebbero dirci fino a che punto questa spaccatura è profonda.
Ciò che è certo è che Donald Trump ha dimostrato di essere un nemico e un pericolo per lo Stato costituzionale di diritto. Finchè il trumpismo e i suoi derivati non saranno politicamente sconfitti, la democrazia americana non potrà dormire sonni tranquilli.
Bibliografia di riferimento
Finkelstein F.” From fascism to populism”, University of California Pr, 2017
Leoni F. “Fascisti d’America”, Paesi Edizioni, Roma, 2021
Komentarze