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Writer's pictureKoinè Journal

Apologia di Alessandro Barbero. Storia di un paese con tanti argomenti, ma pochi esperti.


di Koinè.


Chi da tempo è appassionato di scienze storiche, o chiunque creda nell’importanza della cultura, non può non essersi imbattuto nella figura di Alessandro Barbero. Accademico di professione, la sua attività di divulgatore lo ha portato a guadagnarsi una fama che forse, fino a qualche anno fa, era stata riservata dal grande pubblico alla sola dinastia degli Angela e a pochi altri eletti. Invitato oramai a dire la propria sullo scibile umano, Barbero è da qualche giorno piombato nell’occhio del ciclone, accusato di anti-femminismo, maschilismo, patriarcato e via dicendo. Tutto si deve ad un’intervista rilasciata a La Stampa lo scorso giovedì 21 ottobre per la promozione di una serie di lezioni che il Professore terrà a Torino per Intesa Sanpaolo, dal titolo Donne nella storia: il coraggio di rompere le regole. In una delle domande poste dall’intervistatrice (video disponibile qui), viene chiesto a Barbero il motivo per il quale esistano ancora differenze di retribuzione o di potere tra donne e uomini. Questa, in breve, la risposta del Professore: «Vale la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiuta ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda». Non sono tardate le dichiarazioni di manifesta disapprovazione, tra cui, su tutte, colpisce la proposta avanzata via Twitter da Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e membro della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi: interrompere seduta stante la collaborazione tra Rai e Barbero.


Koinè è una realtà che affonda le proprie radici e il proprio impegno nella Storia e nell’approccio storico a qualsiasi vicenda, ed è perciò imprescindibile fermare al più presto questa gogna mediatica, facendo il punto della situazione. Così, con lo spirito critico che ci ha sempre contraddistinti, abbiamo deciso di dar voce agli storici e alle storiche del nostro team, invitandoli a fornirci un parere su quanto accaduto. Alessandro Barbero è dunque da condannare? Merita questo bombardamento mediatico, oppure il suo messaggio non è stato capito? O forse è più facile far passare un altro tipo di messaggio piuttosto che comprendere il suo discorso? E soprattutto, è ancora chiaro in questo paese qual è il ruolo di un accademico e di un intellettuale, oppure la straripante compresenza a queste figure di allegri giullari ha definitivamente annebbiato il nostro giudizio? Ci danno il loro parere Alessia Di Lorenzo, editorialista di Koinè; Luca Simone, direttore ed editorialista; Andrea Pipponzi, vicedirettore ed editorialista; Davide Cocetti, editorialista e co-editor; Lorenzo Ruffi, editorialista e co-editor. Tutti loro sono storici, e tutti loro si sentono di dire la propria su questa questione, con coraggio. Con spirito critico. Alessia Di Lorenzo, laureanda in Storia Contemporanea (UniPi) L’intervista rilasciata dal famosissimo storico Alessandro Barbero ha aperto un dibattito su differenti questioni, di cui le principali, a mio giudizio, sono principalmente due. La prima è il modo in cui percepiamo – in base a ciò che è stato riportato dai social negli ultimi giorni – le differenze di genere. La seconda, invece, su quanto i media tendano a distorcere le situazioni per accalappiare l’attenzione del pubblico. Il modo in cui percepiamo la distanza tra il genere femminile e maschile si riversa, come è ovvio, su come immagiamo la nostra società. Purtroppo, la realtà dei fatti è che queste, come riporta lo stesso Barbero, sono tematiche che ancora devono essere indagate e che non sono assimilabili a dei semplici pensieri standardizzati. La difesa di una pari eguaglianza tra uomo e donna non deve appiattire le differenze che esistono tra i generi. Queste divergenze sono sicuramente spesso state frutto di una narrazione storica e culturale che va avanti da secoli. In base al sesso sono state attribuite delle differenti qualità e valori: se gli uomini avessero dovuto essere immagine dell’onore della famiglia, alle femmine era richiesto di essere accondiscendenti e pudiche. Gli uomini si sono da sempre occupati di impiegare un ufficio che concernesse la sfera pubblica, mentre alla donna era chiesto di occuparsi della sfera privata. Il nostro lavoro – e faccio un appello a qualsiasi tipo di studioso che abbia a cuore la conoscenza del proprio presente – è quello di continuare ad indagare sul perché le cose siano andate in questa maniera. La frase pronunciata da Barbero, che avrebbe scosso la sensibilità pubblica sia di donne che di uomini, ci pone un grande interrogativo. Abbiamo davvero capito quali e quanti scenari apre la questione sulla differenza di genere? L’uguaglianza è sicuramente il metro col quale dobbiamo confrontarci con l’altro, nonché quel valore che DEVE essere riconosciuto ad ogni individuo. Ma davvero essere ‘femminista’ vuol dire massificare le differenze tra uomo e donna? Al contrario, ‘maschilista’ – così è stato marchiato Barbero dalla stampa – sembrerebbe oggi l’atteggiamento di chi vuol mettere in discussione delle verità date per dogmi. Mi riferisco a quei concetti semplici e banalissimi che vengono continuamente propugnati sui social sulle differenze di genere. Una tra queste, che personalmente ritengo valida, è l’idea che uomo e donna possano ricoprire qualsiasi ruolo senza distinzioni. Il primo significato, semplice e diretto, che si attribuisce a questo concetto è affiancato però da tantissime sfumature da non sottovalutare. Barbero, da storico e da intellettuale, ha affrontato un tema veramente delicato con spirito critico. Il suo discorso verteva su degli assunti, ma con una domanda di fondo. Siamo nel XXI secolo e continuano ad esserci dei forti gap in alcuni settori lavorativi, che convenzionalmente continuano ad essere occupati da un genere piuttosto che da un altro. Perché oggi continuano ad esserci queste distinzioni? È davvero un solo retaggio del passato oppure ci sono dei fattori così scontati che ignoriamo? Banalmente, differenze anatomiche e fisiologiche. Questo è un grande quesito che permette di affinare le lenti attraverso le quali osserviamo la realtà. Prima da donna che da storica, ritengo che l’esempio riportato da Barbero non fosse però quello più adatto a dar man forte al suo discorso. Ipotizzare infatti che gli uomini siano ‘più bravi’ in politica perché «più competitivi» o «più aggressivi» può facilmente essere fraintendibile, nonché offendere gran parte del genere femminile. La fama attribuitagli – direi anche giustamente – in questo caso lo ha bombardato di giudizi negativi. Non sarò sicuramente la prima a sottolineare quanto privi di criticismo e di precisione siano i nostri media d’informazione. Le frasi di Barbero sono state distorte ovviamente per raggiungere maggiori visualizzazioni e per fare indignare i tuttologi del web e della politica. Ma, ciò che credo sia più importante, questa situazione – come tantissime altre – riflette un’Italia incapace di costruire un dialogo ed interessata solamente a far polemica senza argomentazioni. Il quadro generale è a dir poco pietoso e scoraggiante. Luca Simone, dott. in Storia Contemporanea (UniPi) – laureando in Scienze Storiche (UniPd) «[…] questo ha sotto scritto e giurato Meleto di Meleto, Pitteo, contro Socrate di Sofronisco, Alopecense. Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città, ma di introdurre Divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena: la morte».

(Vita e dottrine dei filosofi, II, 5, 40)

Così recitava la lettera di Meleto secondo Diogene Laerzio, con cui nel 399 a.C. venne messo sotto processo davanti ad una giuria di 501 ateniesi, nientemeno che Socrate, il più grande filosofo del tempo. Lungi dal paragonare Barbero a Socrate, ci troviamo però nel 2021 ad avere comunque un grandissimo intellettuale del nostro tempo sotto processo, questa volta mediatico. E non me ne abbia il buon Socrate, ma credo proprio che quest’ultimo sia per certi versi peggiore di quello che ha dovuto subire, nonostante mi auguro che alla fine non ci sia nessuna cicuta. L’oramai celebre intervista uscita sul quotidiano torinese La Stampa, ha visto il buon Barbero esporsi su un tema accademico, sollecitando i suoi colleghi studiosi ad aprire un canale di analisi che possa rispondere ad una domanda da lui posta all’interno di un contesto ben preciso.


«Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi».


Questa è la frase incriminata. Una semplice domanda. Attaccato da fronte e da tergo (soprattutto) per un sospetto maschilismo celato all’interno del quesito, il professore ha scelto di non difendersi pubblicamente, lasciando che la polemica montasse ulteriormente, per poi spiegarsi in maniera altamente esaustiva, a mio parere, in un suo recentissimo intervento in una conferenza organizzata online. Ma che cosa avrebbe sbagliato secondo la Murgia, Gianni Riotta e gli altr* guascon*? Avrebbe sbagliato a porsi una domanda? Avrebbe sbagliato il linguaggio? (Un professore e saggista…) Queste persone, mi viene da chiedermi se sappiano come si svolga il mestiere di un accademico (serio), se sappiano che tale mestiere si basa sulle domande, e soprattutto se sappiano che il peso delle parole non è intrinseco, ma lo si stabilisce nel contesto in cui vengono pronunciate e soprattutto da chi. Ma non è questo l’errore più grave. Foraggiata da titoli sensazionalistici e privi di qualsivoglia attinenza all’intervista stessa, e al giornalismo serio, la polemica è montata su una errata interpretazione grammaticale, lessicale della frase stessa. Gente, la frase è una domanda. Alla fine è posto un enorme punto di domanda, e non un punto stativo. Barbero, e lo spiega bene nella sua ultima autoapologia, si pone la questione se, date alcune differenze fisiche tra uomo e donna, e alla luce del soffitto di cristallo presente in maniera vergognosa ancora oggi, vi sia di più che dobbiamo indagare per spiegare alcune differenze che permangono tra i due sessi, soprattutto in ambito lavorativo. E questo non significa generalizzare, né tantomeno sostenere che le donne manchino di spavalderia o spirito di iniziativa, ma chiedersi se vi siano ambiti in cui le differenze, che *toc*toc* ci sono, siano più forti delle normative per la parità di genere e dello stesso portato ideale che grazie a Dio in quest’ultimo secolo ci sta facendo piano piano raggiungere la parità totale. Ad oggi purtroppo, soltanto sul piano normativo, ma spero presto, in compagnia di Barbero che ci tiene a ribadirlo, sul piano ideologico, esiste una quasi totale parità, che però deve ancora eliminare il substrato culturale che non permette l’applicazione delle nuove normative. Sbagliamo dunque a porci domande? Sbagliamo a porre temi di discussione? Mi piacerebbe che i critici si svestissero della loro corazza che recita ‘PERICOLO MASCHILISMO’, e che ad oggi sembra proteggere dal difetto di non avere argomenti, e spiegassero a me e a chi come me ama porsi domande e cercarne la risposta, come mai uno spunto accademico sia interpretato come un giudizio. Come mai il giornalismo oggi è così vuoto di contenuti ragionati dal doversi appoggiare al clickbait. E come mai pur di cavalcare l’onda mediatica si rischia, a causa della proposta di qualche ottimo surfista della gogna, di vederlo fuori dalla Rai? Con questa apologia non intendo difendere il Barbero storico e accademico, perché il suo curriculum lo farebbe certamente meglio di me, ma mi preme concentrarmi sul Barbero uomo. Prima di formare un giudizio, consiglio di guardare la sua ultima breve conferenza in cui spiega come questa polemica si basi letteralmente sul nulla più assoluto, e solo in base a ciò costruirsi una propria idea in merito. Il maschilismo esiste, così come il soffitto di cristallo e le disuguaglianze di genere, e non è stato certo negato in questa intervista, né tantomeno da me. Il maschilismo ripugna e deve ripugnare ogni essere umano. Ma non è cercandolo in ogni anfratto che le discussioni in merito avanzano e si abbatte questo maledetto soffitto di cristallo. Anzi, si rischia forse di sbagliare la direzione della martellata.





Andrea Pipponzi, dott. in Storia e Documentazione (UniSi) – laureando in Scienze Storiche (UniBo)

Fortunatamente per la Corporazione degli storici, ma per disgrazia del Professore, Alessandro Barbero è divenuto a tutti gli effetti un cult della cultura pop italiana. Finire in questo grande vortice di notorietà, ricoprendone – seppur non volendo – una posizione incisiva e di peso, impone di dover essere consapevoli e preparati ai giudizi negativi che presto o tardi potrebbero arrivare. Accuse, quelle dell’ultima settimana, mosse da un malsano modo di fare giornalismo: acritico, inconsistente e, soprattutto, veniale. Sì, veniale, perché ad oggi Alessandro Barbero vende, il suo nome vende: un monicker che garantisce visibilità, indipendentemente dal contenuto. Il Professore è stato a pieno titolo vittima di questo carnefice meccanismo mediatico, in cui l’intenzionale estrapolazione di una singola frase da una ben articolata riflessione ha scatenato una diffamante ingiuria popolare. Ma non solo. Siamo figli di una cultura illuminista, fortemente impregnati di un relativismo che non può spingerci a vedere tutto come bianco o nero. Ognuno può e deve avere la propria opinione. Va quindi riconosciuto – piaccia o meno – che le idee, differenti, esistano. E la ricerca scientifica, critica per definizione, non può e non deve essere attanagliata tra le maglie del politically correct, un pericoloso fantoccio che si aggira prepotentemente nella nostra contemporaneità, reo di aver trovato in Barbero l’ennesima vittima. Ma torniamo nel merito. In un’apologia super partes, quale questa mira ad essere, sarebbe bene lasciar spazio a qualche riga d’analisi di quanto l’intervistato abbia dichiarato. Come detto da Barbero, che esistano davvero differenze strutturali (fisiche, categorie mentali, categorie culturali, inclinazioni, ecc.) tra uomo e donna è a mio avviso innegabile, e mi prendo la piena responsabilità di quanto affermo. Differenze che, ben inteso, non vanno considerate in alcun modo come suddivise in compartimenti stagni impenetrabili, non sono di certo assolute o scevre da reciproche contaminazioni. Eppure esistono. Poi, ed è su questo che sento di dover sostenere e fiancheggiare il Professore, diventa doveroso per tutti noi, per l’Uomo, interrogarsi al fine di comprendere da quali meccanismi antropologici scaturiscano tali alterità. Sugli aspetti biologici reputo superfluo pronunciarmi, ma che le strutture mentali o le inclinazioni possano dipendere, non so, dall’educazione scolastica o dagli schemi culturali occidentali, è d’uopo, quanto ancor più doveroso, domandarselo. E Barbero lo ha fatto. «Ogni ricerca storica – scrisse Marc Bloch – suppone, fin dai primi passi, che l’inchiesta abbia già una sua direzione». Questo è il mantra del maestro a cui il Barbero ricercatore è rimasto ligio: porre un interrogativo su cui, chi vorrà occuparsene, sarà tenuto a riflettere. Eppure la sua sete di conoscenza è divenuta strumento d’offesa. Un’apologia non andrebbe scritta da chi, come noi, studia Storia e vuol fare ricerca, bensì da quei ‘giornalai’ che abbiano compreso meno di zero della pacata riflessione fatta dal Professore. Altrettante scuse dovrebbero sopraggiungere dai personaggi pubblici che, sedati dai grandi titoloni e dal ‘politicamente corretto’, abbiano preso partito aprioristicamente. E questo perché, dopotutto, ciò che hanno fatto non è stato altro che schierarsi contro un semplice interrogativo, scaturito dal lato più puro dell’anima del ricercatore. «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»: lasciateci allora la libertà di interrogarci tentando di trovar risposta alle domande che più riteniamo importanti. Barbero avrà sicuramente modo di difendersi eccellentemente, come ha sempre saputo fare senza mai tirarsi indietro. Il mio invito è anche a non idolatrare il personaggio come fosse un santone, non è di certo un re taumaturgo, ma di Alessandro Barbero la cultura, l’Italia, ne ha davvero bisogno. È un patrimonio culturale: tuteliamolo.


Davide Cocetti, dott. in Storia Contemporanea (UniPi) – laureando in Scienze Storiche (UniBo)


Un tratto della comunicazione di Alessandro Barbero che mi ha sempre colpito – e che reputo assai efficace nel divulgare la Storia – è il suo dialogo attivo e continuo con i protagonisti delle sue narrazioni. Barbero non si limita a raccontarci di sovrani, generali, intellettuali e contadini di tempi andati. Cerca continuamente di riproporci le questioni su cui essi si interrogavano, ma al contempo prova a fare luce sugli aspetti che potrebbero suscitare la nostra curiosità. E del resto il mestiere dello storico dovrebbe essere proprio questo: capire quali domande pertengono a ciascuna epoca e contestualizzare una risposta. Pertanto, non mi sorprende che Barbero si ponga domande in merito a una materia ancor più incerta della Storia: il presente. Non mi sorprende perché fa parte del suo metodo dialogico e soprattutto perché dovrebbe far parte di quello di tutti noi. La domanda, poi, è assolutamente legittima: com’è possibile che, di fronte a un grande lavoro teorico-legislativo per appianare le differenze di genere, in campo pratico-lavorativo tali differenze vengano solo minimamente scalfite? C’è forse qualche differenza strutturale tra uomini e donne? Ciò non significa negare la bontà e i meriti di quanto fatto finora, ma riflettere sulle strade più efficaci da prendere oggi e nel futuro.

Purtroppo neppure la levata di scudi generale contro la domanda di Barbero mi sorprende. Forse potrei dire che si tratta di un’indignazione ‘di comodo’, una gogna ‘acchiappalikes’ contro un personaggio seguitissimo sul web e non solo. Così facendo, però, rischierei di cadere nella stessa trappola, dando a mia volta una risposta ‘di comodo’. Non credo che ci sia solo una logica di clickbaiting dietro alla trasformazione della domanda di Barbero in un assioma – si vedano i titoli di numerose testate, che addirittura rimuovono il punto interrogativo dal virgolettato. Penso infatti che il problema sia ben più radicato, e stia nella totale incapacità di aprire un dialogo realmente ricco di contenuti. Ancor peggio: nella totale incapacità di muoversi da una concezione dogmatica e manichea della discussione, secondo cui esiste la mia posizione, che è quella giusta e inattaccabile, e quella del mio avversario, che è completamente da buttare. Non si riesce neppure a pensare che quella di Barbero sia realmente una domanda, ma si finisce per dare per scontato che essa sia un postulato, una posizione altra da rifiutare aprioristicamente. E allora non sorprendiamoci che tale domanda continui ad aleggiare, bistrattata ma pur sempre irrisolta, se nessuno vuole prendersi la briga di dibatterla e trovare una risposta.



Lorenzo Ruffi, laureando in Storia Contemporanea (UniPi) Il filosofo e accademico Andrea Zhok ha definito la situazione creatasi in questi giorni attorno alla figura del Professor Barbero come «squadrismo mediatico», ponendo in evidenza la violenza verbale gratuita che il mondo delle telecomunicazioni e dei social network sta ingiustamente riservando allo storico torinese. Non si poteva trovare termine più calzante. L’intero ‘affaire Barbero’, se così lo vogliamo chiamare, è frutto di una totale incomprensione di un’intervista del Professore, uscita qualche giorno fa, in cui egli dichiarava che «le donne avrebbero meno successo degli uomini in alcuni ambiti perché strutturalmente diverse da essi». Improvvisamente, da amato divulgatore televisivo, Barbero è stato trasformato dai media in un mostro, definito un ‘maschilista’ e un ‘reazionario’ (sic).

Se torniamo indietro, ci si accorge che non è la prima volta che il Professore viene messo pubblicamente alla gogna; qualche mese fa, aveva messo in dubbio l’utilità del Green Pass se esteso a lavoratori e studenti. Una semplice supposizione, che l’ha reso però oggetto di scherno e insulti un po’ ovunque.

Tornando al discorso incriminato, ci accorgiamo, leggendo attentamente e per intero l’intervista, che tutta la vicenda è frutto di un grosso misunderstanding. Barbero, da storico medievista, stava analizzando il rapporto strutturale fra i diversi sessi nel lungo corso della storia. Ciò che ha fatto scoppiare la polemica nel web era soltanto una domanda. Una domanda che egli, in quanto ricercatore e accademico, ha il dovere di porsi. Barbero si chiede se, storicamente parlando, la differenza nei lavori svolti da uomo e donna sia dovuta anche a cause di oggettive diversità fisiche. Ora, nessuno può negare che, fisicamente parlando, uomini e donne siano diversi, perché sarebbe come contraddire un basilare sillogismo. Con questo non intendeva certo dire che tali differenze fisiche permangano anche in altri ambiti, come quello morale, psichico o etico.

Si è fatto ingiustamente di Barbero un campione del maschilismo più becero e volgare, semplicemente per aver distorto una frase che, letta con cognizione, appare lapalissiana. In un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui bisogna sempre informarsi adeguatamente per non incappare nel pericolo delle fake news, commettere tali errori di giudizio sulle parole del Professore è sintomo di stoltezza e superficialità. Il maschilismo è una cosa aberrante, e va combattuta. Ma mi sento di dire che non è questo il caso. Questo «j’accuse» nei confronti di Barbero rischia, anzi, di distogliere l’attenzione da quelli che sono veramente i problemi della società, una società che, per certi versi, è ancora intrisa di machismo fin dalle sue fondamenta. Ma cercare nel Professor Barbero la radice di questo male significa aver sbagliato totalmente strada.





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