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Writer's pictureKoinè Journal

Armenia: un altro viaggio


di Giacomo Maroni


Un altro viaggio. Un viaggio in un paese in guerra e avvertirne i riflessi. Riflessi in questo caso tenui, sottili, inavvertibili. Perché se la guerra c'è, con il vicino Azerbaijan, non la si nota. Non c'è presenza militare nelle strade, le persone sono impegnate a vivere in un paese povero che è passato dal comunismo al capitalismo sotto l'influenza ingombrante della Russia, che ancora oggi ne vuole influenzare il destino e deviare lo slittamento europeista. In effetti, attraversandolo, ci si rende conto che questo piccolo stato dalla forte identità culturale, con un suo alfabeto e una religiosità che sembra nascere naturalmente dal paesaggio, è di fatto un mondo autonomo, che si colloca nel mezzo. Da Yerevan partono i pochi mezzi per avventurarsi verso i monasteri, aggrappati in alto da secoli, stretti sopra montagne circondate da chilometri di paesaggio disabitato. In Armenia passava la via della seta e ancora oggi ci sono medioevali caravanserragli che suggeriscono la stanchezza e il riposo di chi attraversava quei luoghi brulli in cerca di affari, commerci e fortune vedendo in questi edifici il ricovero, la pausa.


In Armenia ovunque campeggia il nome del Monte Ararat, che per ironia della storia non è in territorio armeno e dall'Armenia non vi si può accedere a causa delle tensioni con la Turchia. Tensioni legate al Genocidio Armeno, la cui terribile realtà (negata dalla Turchia) è documentata al Memoriale del Genocidio Armeno con il suo tetro Tsitsernakabert, monumento con la fiamma sempre accesa. E' qui che per la prima e ultima volta durante questo viaggio un uomo ci parla della guerra in corso.


Il Monte Ararat però lo si può vedere se si scende verso sud. Sta lì, davanti al monastero di Khor Virap che si può raggiungere con un autobus. Gli autobus sono come te li aspetti, vecchi, malandati, con sedili scomodi e nello stesso tempo bellissimi. Salirci a bordo è come entrare in film girati in pellicola. Le persone hanno il dono della gentilezza. Se sale una donna con un bambino piccolo, il bambino viene preso da chi sta seduto senza problemi e fa il viaggio sulle gambe di uno sconosciuto in modo del tutto naturale. Ciò è avvenuto più volte durante gli spostamenti all'interno del paese dove vi è una semplicità di interazione che affonda le radici in ciò che noi abbiamo sepolto, la cruda necessità. Se ci si sposta verso sud, i mezzi non ci sono più e si deve chiedere passaggi a persone che vanno nella tua direzione oppure contrattare con qualche tassista improvvisato. Le contrattazioni sono anche abbastanza lunghe e si molla soltanto quando si capisce di essere ridicoli a voler risparmiare un niente sulle spalle di qualcuno che cerca di tirare su i soldi per la giornata.


Da Khor Virap, verso sud, quindi bisogna arrangiarsi. Abbiamo ottenuto passaggi o pagato per spostarci con macchine private. Qui le macchine sono soprattutto Lada di cui non ci si può non innamorare. Decidiamo di dormire in un paesino, Areni, in una camera costruita dentro un albero di noci. Da lì la mattina dopo non ci sono autobus. Chiediamo alla donna che ci ospita se può prepararci la cena. La sera ci troviamo a tavola di tutto, acquavite, vino, carne, verdure. Tutto per pochi euro. Nello stesso posto arrivano due tedeschi con una macchina noleggiata. La mattina presto sentiamo che stanno partendo, scendiamo dall'albero e partiamo con loro verso Tatev, un altro monastero sulle montagne. Ci dividiamo dai nostri accompagnatori dopo averlo visitato e andiamo nel paese più vicino (Goris) perché da lì dovrebbe partire un autobus per la capitale. Ci dicono che l'autobus è pieno, ma rispondiamo che ci faremo le quasi quattro ore in piedi. Alla fine con faccia sconfortata la donna della biglietteria ci fa due biglietti continuando però a suggerirci di dormire in paese e partire il giorno dopo; prima di salire ci consegnano degli sgabelli da mettere nel corridoio in modo da stare seduti.


Ovviamente non potevamo non fare l'esperienza del treno. Il costo è irrisorio ma va detto che praticamente non ve ne sono. L'unico treno che siamo riusciti a prendere è quello da Gyurmi, che è la seconda città armena, va verso Yerevan, la capitale. Un unico treno disponibile in tutto il pomeriggio che collega le due principali città armene. La stazione di Gyurmi è immensa, costruita più come monumento al potere sovietico che in rispondenza alle necessità. Al suo interno non vi è nessuno non essendoci praticamente treni né in partenza e né in arrivo per tutta la giornata. C'è solo un bigliettaio che si annoia seduto nella sala d'attesa. Gli chiediamo se possiamo fare il biglietto e ci dice che è presto, di tornare dopo, in prossimità della partenza del treno. Una volta saliti a bordo si rimane incantati dagli interni. Sedili in doghe di legno e ancora è come tuffarsi in un passato nel quale non pensavi di poter viaggiare. A bordo sale anche una donna anziana che vende semi di girasole tenuti in un secchio. L'aria è sempre serena, quei pochi passeggeri che sono a bordo ci guardano incuriositi perché si vede che siamo stranieri e oltre ad essercene pochi, evidentemente non prendono treni. I sedili in legno non sono comodissimi, ma il paesaggio disabitato che si srotola per centinaia di chilometri è talmente magnetico che ci si scorda delle ore che occorrono per arrivare a destinazione.


Ovunque ti fermi in Armenia ci sono fontanelle dalle quali poter bere acqua. E' inutile portare con sé bottigliette. Ad ogni fermata di autobus ci sono macchinette per il caffè che puoi acquistare per pochi centesimi. Ripensi alle nostre città e al giro di denaro che c'è dietro all'acqua. Avere sete a Roma o a Milano è una dannazione, le fontanelle sono sparite a vantaggio dei commercianti, rendendo l'acqua un bene privato. Forse è un residuo del comunismo quello che fa restare in piedi queste colonnine e forse il restare in mezzo di questo paese dovrebbe essere una scelta possibile.


Ti trovi a riflettere su cosa sia la povertà e cosa sia la ricchezza. E' ricchezza quella americana che ha città con strade piene di senzatetto e gente disperata che vi si stordisce senza una via d'uscita? La ricchezza si costruisce sulle spalle degli ultimi, a danno degli ultimi. La ricchezza che mi è sempre interessata è quella umana e qui l'ho trovata. Qui non ho trovato problemi evidenti di obesità, armi, fentalyn e senzatetto che avrei trovato nel sogno che si trova nella testa di molte persone.





Fotogallery

Lungo la strada da Yerevan a Gyurmi. Un taxi Lada.


Interno di un caravanserraglio. Costruzione medievale lungo la via della seta.


Cascate di Shaki. Un fast food lungo la strada.



Un fedele all'interno del Monastero di Tatev.


Cani e palazzi a Gyrmi, la seconda città armena.


Un distributore di benzina lungo la strada da Tatev a Goris.




Puoi vedere tutte le altre foto del reportage sul profilo Instagram di Giacomo Maroni

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