
di Luca Simone.
Hanno fatto enormemente discutere le dichiarazioni di Carlo Calenda, leader di Azione, pronunciate al congresso nazionale di Roma dello scorso sabato, così come aveva fatto discutere e non poco la decisione di invitare alla kermesse la premier Giorgia Meloni.
Quest’ultima è stata accompagnata dal fidatissimo Giovanni Donzelli, che negli ultimi giorni era salito agli onori delle cronache per aver dato del pezzo di m**da al collega Giacomo Salvini, giornalista del Fatto Quotidiano reo di aver messo in imbarazzo Fratelli D’Italia con le rivelazioni molto scomode sulle chat interne del Partito. Rivelazioni che hanno squarciato l’immagine solida che viene data all’esterno, e che rivelano un partito lacerato da lotte intestine oltre che una maggioranza spaccata al suo interno. (Ne avevamo parlato qui)
Calenda dal palco del suo congresso ha attaccato frontalmente il Movimento Cinque Stelle, dicendo che la ragione per la quale non si sente parte del campo largo va individuata nella pochezza politica del partito di Giuseppe Conte, una formazione che a detta sua andrebbe “cancellata”. Parole molto forti che hanno fatto discutere, sia per la violenza con le quali sono state pronunciate, sia perché in prima fila, mentre Calenda faceva il suo show c’era una Giorgia Meloni sorridente e beffarda che applaudiva con maggiore forza ogni volta che il leader di Azione alzava l’asticella. Ma che significa questo? Calenda sta facendo l’occhiolino a Giorgia Meloni? È alle porte un’alleanza politica?
A darne notizia è stato in primis Il Fatto Quotidiano, che ha ventilato l’ipotesi di un’intesa tutta da costruire, ma che potrebbe fare il suo esordio proprio alle prossime regionali marchigiane. La porta sarebbe stata aperta dallo stesso Donzelli, che ha dichiarato di essere molto soddisfatto delle parole di Calenda e di non vedere ostacoli ad una possibile intesa futura. Ora, Il Fatto Quotidiano, giornale notoriamente vicino alle vicende del Movimento potrebbe aver calcato eccessivamente la mano, ma qualcosa di vero deve esserci, perché i vertici di Azione Marche hanno sentito il bisogno di prendere una posizione anche molto netta contro il proprio segretario.
Non è infatti piaciuta alla base questa scelta di ammiccare in maniera così spudorata alla destra. Per quanto i grillini non piacciano, la destra (che nelle Marche è rappresentata da Acquaroli), piace ancora meno. Calenda si è slogato la mandibola a forza di ripetere negli anni che il suo è il partito erede di quel Partito D’Azione figlio della Resistenza che poteva vantare al suo interno politici con la P maiuscola come Calamandrei, Parri e Spinelli. Chissà cosa direbbero vedendo quello che si proclama loro erede (sic!) che ammicca all’estrema destra missina.
Certo è che Calenda sta cercando di sgomitare in qualsiasi direzione possibile per trovare uno sbocco al misero 3% che gli viene assegnato nei sondaggi, e si sta dimostrando disposto anche a scendere a patti con Giorgia Meloni. Era chiaro già da qualche settimana, bastava vedere la debolezza degli interventi degli azionisti in aula quando si è trattato di parlare di riforma della giustizia, caso Almasri e caso Santanchè. Calenda teme di rimanere tagliato fuori dai giochi in caso di permanenza nel Centro-Sinistra, dato che la sua posizione è già occupata da Renzi. Che, detto per inciso, basta e avanza a raccogliere i consensi delle “praterie” centriste.
Un’altra lettura (più cervellotica, quindi meno credibile) vedrebbe invece Calenda impegnato a cercare di riportare Elly Schlein a più miti consigli, dopo gli occhiolini della segretaria DEM al pacifismo senza condizioni di cui Conte è portabandiera. Pacifismo che sta mettendo in seria difficoltà i DEM, perché ricordiamoci che se Atene piange, Sparta non ride. Fatto sta che, pur attribuendo a Calenda una visione politica così lungimirante (ed è lecito dubitarne, non ce ne voglia), i dati rimangono impietosi.
Il 3% di Azione vale tremendamente meno del 15% del Movimento Cinque Stelle, acciaccato e in disfacimento, ma pur sempre terza forza del panorama politico nostrano. Il rischio per Calenda, è quello di trovarsi a fare il clone di Tajani a destra per non trovarsi a fare il clone di Renzi a sinistra. È il prezzo che si corre in politica quando l’unico obiettivo è quello della sopravvivenza e non della proposta. E Calenda di proposte, ne ha veramente poche, e a dirlo non siamo noi, ma i risultati politici che ha raccolto finora.
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