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Writer's pictureKoinè Journal

Cosa aspettarci dalle europee?


di Luca Simone.


Le prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno saranno forse le più importanti della storia dell’Unione. Già in passato c’erano stati certamente momenti di crisi, ma la particolare congiuntura internazionale attuale fa sì che i dossier che ad oggi tengono banco a Bruxelles siano decisivi per la stessa sopravvivenza dell’Europa per come la conosciamo oggi.

Guerra, difesa comune, fine dell’ordine internazionale a predominio statunitense, crisi economica e competizione con Pechino, transizione green e crisi migratoria. Questi sono solo alcuni dei problemi che l’UE dovrà affrontare nel breve periodo per riuscire a sopravvivere a quella che sembra una tempesta perfetta.


A partire dal 2022 con lo scoppio della guerra in Ucraina l’Europa si è trovata all’interno di un vortice di crisi internazionali che le hanno impedito di concentrarsi sui problemi interni e sulla ripresa post-pandemica. Bruxelles ha infatti dimostrato la sua totale incapacità di condurre una politica estera autonoma, indipendente e che guardi ai suoi interessi, trovandosi costretta a seguire le direttrici imposte di volta in volta dagli USA o da quel convitato di pietra che è la NATO. La mancanza di un proprio strumento di difesa (quella CED messa in soffitta già negli anni Cinquanta) ha ulteriormente menomato le capacità diplomatiche europee.


L’impossibilità di accreditarsi come interlocutore in possesso di una propria forza militare indipendente dal circuito NATO ha causato il fallimento di tutte le iniziative diplomatiche sui principali dossier internazionali che vanno dalla Cina all’Ucraina, passando per Gaza e l’emergenza nel Mar Rosso. Nessun Paese europeo infatti, ad oggi, possiede un apparato militare abbastanza sviluppato da poter condurre operazioni autonome. Gli eserciti e il complesso dell’industria bellica sono stati pensati per essere “ancillari” a quelli degli Stati Uniti. Basti vedere gli sviluppi tragici dell’intervento franco-britannico in Libia nel 2011 o l’incapacità di Parigi di risolvere in maniera autonoma la crisi del Sahel. La mancanza di un apparato bellico affidabile e, soprattutto, credibile rende l’Europa un soggetto menomato da un punto di vista internazionale, oltre che totalmente dipendente per la sua difesa da soggetti esterni. Soggetti la cui politica estera non sempre si adatta alle esigenze di Bruxelles, basti vedere gli sviluppi della crisi ucraina.

 

Ad aggravare poi ulteriormente la posizione di Bruxelles ha contribuito la spaccatura interna ai 27 emersa tra paesi bellicisti, paesi pacifisti e paesi apertamente filoputiniani come l’Ungheria orbaniana. La politica estera europea condotta fino al 2022 aveva infatti sempre considerato Mosca come interlocutrice affidabile nell’ottica di un equilibrio regionale, tanto da garantire al Cremlino il monopolio nell’esportazione di gas naturale necessario all’apparato industriale europeo.


Non solo la politica estera turba i sonni del nascituro governo europeo, anche numerosi dossier “interni”, primo fra tutti quello che riguarda la crisi migratoria. Quest’ultima, infatti, è il principale argomento utilizzato come spauracchio da Identità e Democrazia, il gruppo di cui fanno parte tutti i partiti populisti, nazionalisti e filofascisti. Formazioni come Vox, AFD, Lega e Rassemblement National hanno fatto dell’immigrazione il cardine dei propri programmi politici euroscettici. Si tratta di posizioni politiche insidiose perché contribuiscono a lacerare il fronte europeista, già spaccato tra Socialisti, Popolari e Conservatori.


L’Europa si è certamente dimostrata incapace di gestire il fenomeno migratorio senza precedenti, e la gestione Von Der Lyen della Commissione Europea non ha fatto altro che peggiorare il giudizio che i cittadini europei hanno avuto delle istituzioni sovranazionali. Il risultato è stato un problematico e progressivo scollamento rispetto alle politiche comunitarie, sobillato da partiti che hanno puntato a gonfiare le proprie percentuali tramite una retorica infarcita di euroscetticismo e populismo.


Questo è, in estrema sintesi, il quadro nel quale si svolgeranno le ormai imminenti elezioni di giugno, dalle quali, nonostante tutto, verosimilmente emergerà una maggioranza governativa “moderata”. Una maggioranza che si reggerà (stentatamente) sull’accordo tra Socialisti, Conservatori e Popolari, i quali dovranno come prima cosa riuscire ad appianare le proprie divergenze per poter consentire lo sviluppo di una politica comune proattiva.


Vi sono però vari pericoli all’orizzonte ed è bene non sottovalutarli. Il principale è che così facendo, ovvero scegliendo la via governista della conventio ad excludendum che lascia fuori i populisti, si consentirà a questi movimenti di sfruttare la cassa di risonanza che da sempre favorisce le opposizioni. Il rischio, dunque, è quello di permettere agli euroscettici di continuare a sparare a bruciapelo sulla politica europea e sulle sue istituzioni accrescendone il bacino elettorale. L’unico modo che il nuovo governo avrà per impedire questo scenario sarà quello di cercare di elaborare una politica il più possibile credibile. Il primo fondamentale passo sarà quello di lavorare sulla ricostruzione del martoriato spirito comune europeo accreditando l’Europa come attore internazionale credibile anche e, soprattutto, in sede diplomatica.


Non sarà certo un compito facile, molto dipenderà dall’evolversi di tanti fattori come lo sviluppo delle operazioni belliche in Ucraina e a Gaza, o dall’imminente elezione del nuovo presidente americano a novembre, ma se l’Europa vuole salvarsi deve innanzitutto dimostrare di essere qualcosa di credibile e, soprattutto, di tangibile. Ad oggi ha dimostrato di esserlo solo a tratti. Da queste elezioni dipenderà la sua sopravvivenza e, soprattutto, un grande pezzo del nostro futuro.


Per evitare che qualcuno decida per te, il primo passo è votare.

Votare consapevolmente. In bocca al lupo Europa.





Image Copyright: ANSA


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