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Dal MSI a FDI: breve storia della Fiamma

Writer's picture: Koinè JournalKoinè Journal

di Paolo Trojan.


Nel corso della storia dell’Italia repubblicana, considerando il panorama politico specifico della cosiddetta Prima Repubblica, era ancora chiara ed evidente una differenziazione tra le varie ideologie. Esse erano esplicitamente distinte dalla collocazione nello spettro politico, ma anche facilmente riconoscibili per via della loro simbologia.


A sinistra vi era il Partito Comunista italiano con il colore rosso e la caratteristica falce unita al martello. Al centro il ruolo egemone era della Democrazia Cristiana, con il proprio scudo crociato. La destra, invece, aveva come partito principale il Movimento sociale italiano che si rivedeva nella fiamma tricolore.


Certi segni riconoscitivi non sono questione da poco. Il gioco politico è sempre stato caratterizzato dalla presenza di immagini distintive, che col tempo assumevano un valore sacrale per i militanti di tale corrente e per gli stessi elettori. Un esempio lampante può̀ arrivare dalla simbologia dei partiti repubblicano e democratico negli Stati Uniti, da sempre associati all’elefante e all’asinello. Allo stesso modo la scena politica italiana si è storicamente riconosciuta nei simboli citati, come promessa di una linea pubblica da perseguire e alla quale rimanere fedeli.


Questa simbologia, presente sia nel Movimento sociale che in Alleanza nazionale, fa del movimento guidato da Giorgia Meloni il terzo partito della fiamma. Legami metaforici e un’eredità da raccogliere derivano perciò̀ da questo segno di riconoscimento.


Per comprendere al meglio la situazione politica attuale, e anche il retroterra storico del primo partito del parlamento italiano, è fondamentale comprendere come dal fascismo e dalla Repubblica sociale, la destra si sia evoluta fino all’attuale formazione di governo, che vede come perno centrale appunto Fratelli d’Italia.


Il Movimento Sociale Italiano


La storia inizia dalla conclusione dell’esperienza “repubblichina”. Il nucleo centrale del Msi nascerà attorno a Pino Romualdi, esponente della Repubblica Sociale che fu nominato anche vicesegretario del Partito fascista repubblicano nell’44. Il primo, parziale, riconoscimento politico del nascente movimento fu l’accordo sul referendum costituzionale dell’46. In cambio dell’accettazione pacifica del risultato, e della promessa del mantenimento dell’ordine, furono

liberati quasi due terzi dei fascisti detenuti. Da queste radici nacque, il 3 dicembre del 1946, ufficialmente il primo partito della fiamma.


La sua storia è quanto meno peculiare. Per tutta la sua esistenza, infatti, fu falcidiato dalle lotte intestine delle correnti per la leadership. Le complessità politiche, spesso divergenti e concorrenti tra loro, presenti nel fascismo del ventennio si riproposero con tutta la propria potenza all’interno delle file missine. Non vi era una vera concordanza generale né sulle principali linee da tenere in politica estera, né sul fronte economico e neppure sulle alleanze parlamentari da perseguire. L'unico vero punto di contatto di tutto il movimento fu il costante riferimento, più sentimentale che politico, all’esperienza del regime mussoliniano. Questa costante, necessaria a mantenere unito il movimento, creò però un processo di autoghettizzazione irrimediabile. L’orgoglio della propria identità suscita discriminazione (mentre) la discriminazione rafforza il sentimento della propria diversità” (R. Chiarini, La destra italiana. Il paradosso di una identità illegittima, in “Italia contemporanea”, 1991, p. 585). Il dichiararsi eredi del fascismo non poteva che portare ad una continua esclusione da parte dei partiti dell’arco costituzionale, creando un circolo vizioso senza uscita.


Furono tre i principali leader politici del Msi: Michelini, Almirante e Rauti. Lo storico segretario della prima fase fu Arturo Michelini. Esponente dell’ala moderata del partito, più tendente a posizioni conservatrici e allineato con le tendenze atlantiste delle correnti, in funziona anticomunista. Sotto la sua guida i missini ottennero la maggiore credibilità politica, trovando spesso l’alleanza con le frange di destra della Dc e partecipando più di una volta alla maggioranza di governo.


La situazione politica italiana post '48 vide uno spostamento a destra delle compagini di governo, a seguito dell’esclusione dei socialisti e dei comunisti, e ciò permise quindi ai missini di trovare un proprio margine di manovra. Il momento di svolta della segreteria di Michelini fu il 1960. Nel corso di quell’anno, infatti, diventarono l’unico partito della maggioranza di governo oltre alla Democrazia Cristiana. Nacque così il governo Tambroni, che sembrò definitivamente legittimare la cittadinanza politica del Movimento sociale. Invece, le aspre proteste seguite alla sua proclamazione e gli scontri avvenuti a Genova per via del congresso missino, fecero cadere l’esecutivo dopo appena quattro mesi e aprirono di fatto la strada al centro sinistra organico.


Michelini restò comunque alla guida fino alla sua morte nel 1969 senza riuscire però a delineare una vera strategia politica e limitandosi ad una fase di “galleggiamento” costante, arrivando al minimo storico del 1968.


Al precedente segretario succedette Giorgio Almirante, il più longevo leader missino e senza dubbio anche quello più iconico. La sua corrente faceva riferimento ai cosiddetti “socializzatori”, meno inclini ad accettare l’alleanza atlantica e più propensi, in linea con la filosofia politica fascista, a ricercare una “terza via” non meglio definita. Egli rappresentò la sinistra del partito e fu l’avversario principale di Michelini. La scelta ricadde su di lui in quanto figura autorevole dei quadri missini. Fondamentale per la scelta fu la sua capacità di dialogare sia con le frange più conservatrici, sia con quelle antisistema, riuscendo a portare avanti la cosiddetta politica del “doppio binario”.


Sotto la sua guida si ottenne il massimo risultato elettorale nazionale nel 1972 (8,7%), ma in generale fu una gestione attanagliata dai problemi d’identità e inserimento nelle dinamiche politiche, come lo fu l’ultimo periodo micheliniano. La lotta tra correnti rese sempre difficoltosa la delineazione di una strategia coesa e organica, e i legami, diretti indiretti o presunti, con le frange più estremiste della destra insurrezionale extra parlamentare ne miravano irrimediabilmente la credibilità. Il grande progetto politico dell’era almirantiana fu quello di creare un partito di destra nazionale, trovando un'intesa con i liberali, i monarchici e l’ala conservatrice della Democrazia Cristiana. Nonostante la fusione con il Pdium (Partito democratico italiano di unità monarchica) che sembrò dare linfa al progetto di “Destra Nazionale”, l’ostentata opposizione del Pli non permise all’alleanza di prendere forma.


Il problema di fondo del mancato abbandono delle malcelate nostalgie fasciste non permise al Movimento sociale di acquisire vera cittadinanza politica. Nonostante gli sforzi da parte del segretario, la continuità con il passato comune fu ciò che li rese unici, e quindi attraenti per gli elettori. Di conseguenza non si riuscirà mai davvero ad uscire dal circolo vizioso auto ghettizzante.


Parallelamente alla segreteria di Almirante l'Italia viveva una delle fasi storiche più delicate dalla fine della guerra, ovvero gli anni di piombo. L’acutizzarsi dei conflitti sociali portò ad una polarizzazione delle idee politiche, con un conseguente aumento delle simpatie per i partiti stremisti, Msi in primis. La politica del “doppio binario” sfruttava ovviamente le mobilitazioni di piazza come strumento politico, ma al tempo stesso mostrava il fianco alle critiche di coloro che accusavano il partito di incrementare il clima di odio. L'ambiguità̀ della dirigenza missina di fronte alla “zona grigia” che si era venuta a creare tra gli attentati terroristici di matrice fascista da un lato e la parziale tolleranza dei leader della fiamma dall’altro, costituirà̀ un

handicap insormontabile ai tentativi di rilegittimazione del partito.


Particolarmente rilevante in questa fase fu la morte di un poliziotto Antonio Marino nell’aprile del 1973 a Milano, a seguito di una manifestazione non autorizzata dei movimenti di destra giovanile. La scena politica accusò il Movimento Sociale di essere complice della tragedia e molte componenti più moderate, che nel tempo si erano avvicinate al partito, decisero di abbandonarlo in segno di protesta.


Il terzo leader del Msi storicamente e politicamente rilevante fu Pino Rauti. Dal suo punto di vista il fascismo fu fondamentalmente un movimento politico di sinistra; perciò, portò avanti una propria interpretazione del regime mussoliniano improntato su dinamiche antisistema, rivoluzionarie, anticapitaliste e terzomondiste. Difatti la sua corrente fu la principale animatrice di opposizione interna al partito, riuscendo ad arrivare al vertice solo per un breve momento alla fine dell’esperienza missina. Essendo vicino alle componenti giovanili della destra, Rauti si ritrovò spesso coinvolto in inchieste riguardati il terrorismo nero, e la sua affinità ideologica con i FAR e con Ordine Nuovo rendono il suo lavoro moralmente ambiguo.


La corrente rautiana si scontrò prima con i conservatori di Michelini, e poi con i socializzatori di Almirante, e infine col delfino di quest’ultimo ovvero Gianfranco Fini. Nel congresso del 1990 attraverso un rimescolamento delle alleanze tra le correnti arrivò per la prima volta alla segreteria, dopo anni di tentativi e di attività politica. L'esperienza fu però di brevissima durata, dopo appena un anno, nel 1991, il crollo dei consensi riconsegno la leadership del partito a Fini.


Con il procedere della malattia di Almirante si pose il problema della sua successione. Ovviamente la corrente rautiana cercò la leadership interna, ma a spuntarla fu il candidato designato dal precedente segretario, ovvero Fini.


Alleanza Nazionale


A parte la breve parentesi della segreteria di Rauti, Fini divenne il leader indiscusso della fiamma. Con la morte ravvicinata nel tempo di Romualdi e Almirante si ritrovò padrone del partito. Oltre ad aver superato l’endemica lotta tra correnti, nel giro di due anni il clima politico cambio radicalmente. Lo scandalo “Mani pulite” che coinvolse tutti i partiti di governo e la fine della guerra fredda, con la conseguente perdita di legittimità del Pci e della Dc, apri enormi possibilità alla Msi di guida finiana.


Per massimizzare i possibili vantaggi derivati dalla fine della Prima Repubblica diventò necessario superare le ambiguità missine per poter proporre un progetto del tutto nuovo, simile alla vagheggiata “Destra Nazionale” almirantiana. Nel celeberrimo Congresso di Fiuggi del 1995 si tenne l’ultima apparizione pubblica del Msi e la prima di Alleanza Nazionale. Prima presentata solamente come una lista elettorale allargata e poi, solo dopo le vittoriose elezioni del ‘94, istituzionalizzato come vero e proprio partito politico.


Nel concreto non vi fu un vero e proprio strappo col passato. Nonostante l’entrata di numerosi esponenti degli ex partiti di governo, la classe dirigente rimase per lo più composta da missini di lunga data e gli iscritti del Msi vennero semplicemente fatti confluire nelle file di An in maniera del tutto lineare. Fondamentalmente il partito si strutturava intorno alla figura preminente e personalizzante del leader e intorno ai suoi “colonnelli”.


La storia del secondo partito della fiamma si lega a quella che fu la storia della nuova destra italiana. Anche a seguito della legge elettorale maggioritaria, detta Mattarellum o "minotauro", si creò una polarizzazione in due blocchi contrapposti della scena politica, con a destra la figura ingombrante di Silvio Berlusconi, assoluto protagonista di quegli anni. Si formò quindi una stabile coalizione tra Forza Italia, Alleanza Nazionale e la Lega Nord di Umberto Bossi. Alleanza piuttosto durevole ma dai contrasti e le antipatie interne evidenti.


Nelle elezioni del 1994 ottiene il 13,5% dei voti ed entra a far parte della maggioranza di governo del Berlusconi I, in una compagine parlamentare composta quasi esclusivamente da ex missini. Verso la fine degli anni ‘90 il presidente di An è uno dei leader politici più apprezzati in assoluto secondo i sondaggi e un ulteriore buon risultato alle elezioni del 1996 confermano la tendenza positiva.


In un momento di totale ascesa per Alleanza nazionale però il movimento subì una brusca frenata. Sia per la fallita rincorsa alla leadership del centro destra che li obbligò ad assumere il ruolo, scomodo e indesiderato, di comprimari, sia per la lotta interna al partito, solo silenziata dalla preminente presenza di Fini, ma in realtà ancora vivace e alimentata dai gruppi giovanili. Per quanto il segretario si orienti fortemente su posizioni liberal conservatrici, elogiando pensatori come Einaudi e Poppertra le fila missine i principali riferimenti culturali rimangono comunque Evola, Gentile e Mussolini. Le numerose, seppur piccole, scissioni del partito evidenziano questo sentimento di diffusa insofferenza sopita.


Questo insieme di eventi portò quindi all’unione tra An e FI, con la creazione di Popolo della Libertà, contro la volontà dell’erede di Almirante. Dopo appena 15 anni spariva così il secondo partito della fiamma, senza però portarsi dietro la carica emotiva e sentimentale della svolta di Fiuggi.


Nonostante il successo dell’elezioni del 2008 e la carica di Presidente della Camera ottenuta da Fini, il 25 luglio del 2010 fu cacciato dallo stesso partito a causa dei forti scontri con la leadership, con appena 3 voti contrari.


Fratelli D'Italia


In questo scenario politico della destra in continuo mutamento iniziò a farsi largo quella che possiamo definire la terza generazione della fiamma. Come detto buona parte dell’opposizione interna ad Alleanza nazionale veniva alimentata dai gruppi giovanili, da sempre motore d’innovazione ma anche spada di Damocle per i partiti della destra sociale. Tra questi giovani vi era una ragazza in particolare in forte ascesa, di nome Giorgia Meloni. Tra la fine degli anni '90 e l’inizio degli anni 2000 divenne prima presidente di Azione Giovani, poi parlamentare, poi vicepresidente della Camera e ancora Ministro della Gioventù del IV governo Berlusconi. Era il nuovo volto della destra italiana.


Il suo distaccamento dal partito del Cavaliere avvenne ufficialmente nel 2012 con la fondazione di Fratelli d’Italia a seguito di scontri con il leader del Pdl. Dopo la cacciata di Fini, infatti, gli ex aennini si ritrovarono di fatto a far parte di un movimento del tutto disinteressato alle loro volontà e schiacciato dagli ex forzisti.


Il progetto del nuovo partito faticò a prendere il largo e per accrescere le sue file la Meloni sfruttò tutte le conoscenze ereditate dai tempi della militanza giovanile in Ag. Si viene così a formare la terza generazione della fiamma o generazione Atreju.


La caratteristica peculiare di quest’ultima evoluzione della destra italiana è la sua compattezza e organicità. Avendo vissuto le potenzialità distruttrici della lotta tre le correnti, Fratelli d’Italia nasce come un partito senza le stesse, solido dietro la figura della leader. A questo fine ha indubbiamente aiutato la scelta fatta, più per necessità che per astuzia politica, della presidente di circondarsi di suoi compagni di militanza da lungo tempo, che hanno reso il suo movimento estremamente coeso.


La figura femminile, carismatica e pop, di Giorgia Meloni ha permesso nel tempo di accrescere i consensi, fino alla scelta di essere l’unico partito di opposizione del governo Draghi. Valutazione lungimirante che ha permesso al movimento di crescere nei sondaggi fino ad arrivare al 26% alle nazionali del 2022 e al 28,8 alle europee del 2024, numeri inimitabili nella storia della fiamma.


Attualmente si conferma ancora come primo partito italiano e, nonostante le controversie e le scelte ampiamente discutibili, continua a guidare uno dei governi più longevi e compatti della storia repubblicana.




Bibliografia

-R. Chiarini, La destra italiana. Il paradosso di una identità illegittima, in “Italia contemporanea”, 1991, p. 585.

-P. Ignazi, Il polo escluso, La fiamma che non si spegne: da Almirante a Meloni, Bologna, Il Mulino, 2023.

-G. Meloni, Io sono Giorgia, Le mie radici, le mie idee, Milano, Rizzoli, 2021 ed. 2023.

-S. Vassallo, R. Vignati, Fratelli di Giorgia, il partito della destra nazional-conservatrice, Bologna, il Mulino, 2023.





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