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Fanno il deserto e lo chiamano pace

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • Apr 16
  • 3 min read

di Luca Simone.


Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (lett. “fanno il deserto e lo chiamano pace”) è una locuzione che il grande autore latino Publio Cornelio Tacito, nella sua opera Agricola, mette in bocca al condottiero caledone Calgaco. Si tratta di una citazione usata ed abusata nel corso della storia, perché ben si adatta a numerose situazioni, non ultima, quella relativa alla trattativa in corso tra Donald Trump e Vladimir Putin per il cessate il fuoco in Ucraina.

 

Fin dalla campagna elettorale che lo ha poi portato alla sua rielezione, Donald Trump ha fatto della guerra in Ucraina un tema primario nel quale ha investito un enorme porzione del suo capitale politico. Dai primi giorni ha rovesciato la narrazione fatta fino a quel momento dall’amministrazione Biden, iniziando ad attaccare direttamente Zelensky e i suoi alleati occidentali, additandoli come “ostacolo alla pace”. Parallelamente ha poi iniziato a flirtare con il Cremlino, ovvero il Paese invasore (fino a prova contraria).

 

Certo, il conflitto in Ucraina non è iniziato nel 2022 ma nel 2014 con l’annessione della Crimea (unilateralmente voluta proprio da Putin) e con l’inizio di quella guerra per procura in Donbass in cui Kiev non ha risparmiato violenze sulla popolazione russofona, ispirata (bisogna dirlo) da un Occidente voglioso di prendere al volo l’occasione di poter allargare la propria sfera di influenza più ad est. Un qualcosa che indubbiamente a Mosca non è stata percepita in maniera positiva.

 

Al netto di queste premesse (doverose) l’operazione di Trump però ha peccato di lungimiranza, mostrando come la sua spacconaggine poco abbia a che fare con le regole reali che segue la politica estera. E una delle regole primarie e fondamentali è che per fare la pace serva essere in due. L’Ucraina, lo si è visto, non è un attore concreto in gioco, seguiva, segue e seguirà le direttive provenienti da Washington che, grazie alle forniture militari e agli aiuti economici, sta tenendo in vita quel che resta del Paese. Non è un attore in gioco neppure l’Europa, che nulla ha fatto per ritagliarsi un ruolo da protagonista e, sicuramente, non riceverà regali da Trump. La pace, dunque, dovrebbero raggiungerla USA da una parte, e Russia dall’altra, ma Putin questa pace la vuole? No. Almeno non ora.

 

Nessuno ha spiegato a Trump (o più probabilmente non ha voluto capirlo il buon vecchio e “infallibile” Donald) che proprio mentre lui demoliva l’immagine mondiale di Zelensky e dell’Europa, nel tentativo di sedurre Putin, i russi iniziavano ad approfittare delle difficoltà sul campo degli ucraini e stavano avanzando su tutti i fronti. Perché, dopo anni di difficoltà, proprio ora, Putin avrebbe dovuto accettare la pace? Questo Trump non sembra averlo considerato, e non c’è da stupirsi se dopo 4 mesi di presidenza, la tregua non solo non è arrivata, ma non è proprio all’orizzonte.

 

Putin, inoltre, ha più di una volta creato imbarazzo a Trump, l’ultima volta domenica. La strage di Sumy, in cui l’esercito russo ha bombardato una zona residenziale uccidendo 34 civili, infatti, arriva una manciata di ore dopo la visita dell’inviato speciale di Washington Witcoff, che aveva (come al solito) parlato di “vicinanza tra le parti”. Una vicinanza che ritiene reciproca solo lui, dato che più gli USA si invischiano in questa situazione spinosa, più i russi sentono di avere il coltello dalla parte del manico. Intanto Washington continua a bruciare enormi fette del suo capitale politico globale. Dopo gli insulti in mondovosione a Zelensky, lunedì il presidente ucraino è stato nuovamente additato come unico responsabile della guerra, mentre ieri Trump ha rifiutato di sottoscrivere una nota del G7 in cui si condannava l’attacco russo. 

 

Sicuramente alcune rivendicazioni degli ucraini (così come alcune loro azioni nel corso della guerra) non rispondono agli interessi dell’occidente (vedi caso NordStream), ma chi di storia e di politica internazionale se ne intende, ben sa che tra alleati non sono mai esistite posizioni perfettamente convergenti. Da questo, a cedere alla narrazione per cui per un infido Zelensky da un lato, ci sia un giocatore leale come Putin dall’altro, significa esercitare un esercizio di prostituzione intellettuale non da poco. Così come è un volo pindarico pensare che gli interessi europei convergano con quelli americani.

 

Intanto, mentre Trump continua a farsi prendere per i fondelli da Putin, l’Ucraina continua ad assottigliarsi, e rischia di trasformarsi in un deserto al termine di questa guerra di cui non si vede la fine. Un deserto dal quale Washington si ritirerà lasciando all'Europa una discreta patata bollente da gestire.

 

Faranno un deserto, e lo chiameranno pace. Forse.





Image Copyright: Doug Mills/The New York Times

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