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Writer's pictureKoinè Journal

Koinè intervista Mori (AVS): "Salis? La candidatura preoccupante è quella di Vanacci"


di Luca Simone.


In vista delle ormai imminenti elezioni europee dell'8 e 9 giugno, Koinè Journal intervista Giovanni Mori, ex portavoce dei Fridays For Future Italia e candidato indipendente per Alleanza Verdi-Sinistra per la circoscrizione Nord-Ovest


La candidatura all’interno di Ilaria Salis nelle vostre liste ha destato un certo scalpore, come si spiega questa scelta e come si risponde alle polemiche della destra per cui stareste candidando una picchiatrice criminale? 

Mi sembra un’accusa pretestuosa, innanzitutto perché la persona che ha subito il pestaggio non riconosce la Salis come esecutrice del pestaggio stesso, un crimine che in Italia nemmeno esiste. Poi mi viene da sorridere se si pensa alla candidatura di Vannacci nelle liste della Lega, uno che dovrebbe essere accusato di apologia di fascismo. Ad ogni modo considero questa candidatura come un buon segnale per ribadire che è necessario garantire anche in Europa i diritti fondamentali, dato che in alcuni paesi la loro tutela non è scontata.

 

Crede che il nostro governo stia facendo tutto il necessario per riportarla in Italia?

Avendo seguito questa vicenda dall’inizio, ho notato che l’unico progresso reale è stato fatto nel momento in cui è stata posta pressione mediatica sulla questione, e cioè quando il 31 gennaio l’ANSA ha pubblicato le sue fotografie con i ceppi in tribunale. Da quel momento in poi si è avuto un miglioramento della situazione. Ovviamente non possiamo sapere che tipo di lavoro sia stato portato avanti dalla Farnesina, dove lavorano funzionari competenti, ma i responsabili politici di Fratelli d’Italia e soprattutto della Lega al Parlamento Europeo hanno votato contro ogni risoluzione che andasse ad analizzare in maniera seria i fondi che l’Ungheria riceve  e l’utilizzo che ne fa. Infatti, pare che alcune delle manifestazioni neonaziste in questione fossero finanziate proprio con fondi europei, il che, se confermato, sarebbe il colmo.

 

A proposito di questo, molte critiche nei confronti di questa candidatura vengono anche da chi crede che possa aver messo sotto pressione la diplomazia che sta agendo sottotraccia per il rilascio o il trasferimento in Italia. Pensa che il clamore mediatico potrebbe aver spinto Orbán su una posizione più ferma per questioni di prestigio?

Penso che sia difficile ragionare con i se e con i ma. I fatti dicono che Ilaria Salis è stata detenuta per 15 mesi e per almeno un anno non si è parlato affatto della sua condizione. Possiamo anche pensare che la diplomazia stesse lavorando in quel periodo, ma sappiamo per certo che non c’era stato alcun avanzamento anche con l’esplosione del caso mediatico. Forse sarebbe stato sufficiente che alcuni rappresentanti del governo si esponessero maggiormente con dichiarazioni pubbliche, basti pensare a quanto fatto con Chico Forti.

 

Quindi si può dire che siano stati usati due pesi e due misure?

Sì, direi di sì. L’ho notato anche a livello giornalistico nella mia attività di podcaster, dove leggendo i vari titoli di giornale mi sono accorto che ci fosse molto poco interesse a smuovere le acque. É evidente che non c’è stato grande interesse politico a spingere i funzionari della Farnesina ad un’azione più incisiva.


Come commenta il caso dell’attacco del leghista Borghi al Presidente Mattarella, non sconfessato né da Salvini né da Meloni?

Questo attacco arriva proprio il 2 giugno, giorno della Festa della Repubblica Italiana, è ridicolo che alcune parti politiche riescano a creare confusione anche durante una celebrazione del genere. Comunque, penso che sia una questione abbastanza superficiale, che terrà impegnata l’opinione pubblica per 24 ore per poi sparire. Per questo motivo nella mia campagna elettorale abbiamo cercato di occuparcene il meno possibile e concentrarci invece sui grandi temi che mancano troppo spesso dalla politica, motivo per cui molti se ne disinteressano e non vanno più a votare. Ad ogni modo considero imbarazzante un attacco al Presidente della Repubblica in una ricorrenza del genere, ma anche e indicativo di quali siano le forze che non rispettano le istituzioni democratiche.

 

Nel vostro programma elettorale parlate del rilancio del ruolo internazionale dell’Europa. Come si concilia questo punto con la volontà di non procedere con un riarmo di modo da renderla credibile in ambito diplomatico? Molti analisti, infatti, considerano un meccanismo di difesa comune europea come una prerogativa per affrontare le sfide poste da grandi paesi come India, Cina, Russia e Stati Uniti.

Per rispondere partirei dalla distinzione tra riarmo e difesa comune. Mi ritengo un sostenitore di una difesa comune europea, la quale presuppone una politica estera comune rivolta ad un’ottimizzazione degli apparati militari: non avere più 27 eserciti nazionali differenti taglia i costi e rende più efficace la difesa stessa. Siamo coscienti che non si tratta di una riforma “immediata”, ci sono molte variabili internazionali di cui tener conto, a partire dalle presidenziali americane e quindi dall’eventuale elezione di Trump. Vogliamo che l’Unione Europea si doti di strumenti che le permettano di essere una forza di pace in grado di disinnescare i conflitti internazionali. Sono consapevole che la politica estera purtroppo si fa anche con il peso delle armi. Oggi invece stiamo parlando di un riarmo delle singole nazioni che ricorda più una logica nazionalista che risale a 100 anni fa.

 

Quindi, secondo lei, la difesa comune porterebbe anche ad una razionalizzazione delle spese?

Assolutamente sì, alcune stime parlano di risparmi di decine di miliardi di euro all’anno. 

 

Alleanza Verdi-Sinistra è sempre stata contraria all’invio di armi in Ucraina perchè considera questa strategia dannosa per la pace. Che iniziativa pensate debba essere intrapresa per arrivare ad una cessazione delle ostilità?

Penso ci siano diversi livelli su cui agire, c’è il livello nazionale italiano e poi quello europeo. In Italia AVS ha sempre votato contro l’invio di armi in Parlamento, mentre a livello europeo i Verdi hanno sempre votato a favore allineandosi alla risposta compatta dell’UE. Per me è sensato che inizialmente a livello europeo si sia risposto in questo modo, ma ora mi sembra evidente che dopo due anni non sia sufficiente il solo invio di armi.

 

Però l’ultimo tentativo diplomatico di una conferenza di pace a Ginevra è stato respinto da Putin. Secondo lei è sensato fermare in questo momento l’invio di armi?

È ovvio che non si sta proponendo di tagliare gli invii dall’oggi al domani. Detto ciò, la NATO ha recentemente proposto di stanziare 100 miliardi per il prossimo anno, ma questa iniziativa che prospettive ci dà? Arrivare a operazioni NATO sul suolo ucraino? Se le cose stanno così possiamo anche accantonare ogni tipo di altra prospettiva politica, altro che transizione ecologica. Spero non si arrivi mai ad uno scenario del genere. Questa considerazione è per dimostrare che non siamo favorevoli ad un taglio improvviso dell’invio di armi. Il punto è che l’UE non ha ancora portato avanti azioni concrete al di là delle sanzioni iniziali, che tra l’altro hanno avuto un effetto limitato solo nei primi mesi di guerra. La Russia è stata sicuramente aiutata indirettamente dalla negligenza di molte nazioni occidentali, tra cui l’Italia, che ignorano le sanzioni attraverso le triangolazioni commerciali. Mi sembra che si stiano rendendo conto in molti che l’invio di armi non è stato sufficiente. Anche alcuni Capi di Stato lo hanno capito e sembra che addirittura vogliano andare verso l’escalation di un conflitto che ha causato già mezzo milione di morti. Penso sia fondamentale per l’Europa dotarsi di una difesa comune per poter contare di più ed essere più incisiva, dato che fino a questo momento è parso evidente che contiamo veramente poco come attore internazionale.

 

L’attacco di Israele su Rafah ha scatenato polemiche su scala globale e il vostro segretario Bonelli ha parlato di crimini contro l’umanità. È d’accordo? Secondo lei Netanyahu è un criminale di guerra?

É la stessa corte penale internazionale che sta indagando su questi fatti a dirlo, e financo Blinken ha ammesso che armi fornite dagli Stati Uniti sarebbero state usate per commettere crimini di guerra. Il fatto che vengano bombardate zone in cui si trovavano dei rifugiati non saprei come definirlo se non crimine di guerra. Spesso ci si dimentica che questo governo israeliano è il più a destra della storia, lo stesso contro cui poco prima della guerra 400.000 persone erano scese in piazza per protestare. È solo lo stato d’emergenza che sta permettendo al governo di Netanyahu di sopravvivere, esattamente uno dei motivi per cui Israele non vuole accettare compromessi che porrebbero fine alla guerra e di conseguenza alla carriera politica dell’attuale Primo Ministro. In questo momento non mi sembra che ci sia la possibilità di arrivare a soluzioni di compromesso sul modello degli accordi di Oslo. Non è un segreto che Netanyahu sia stato un fiero oppositore degli accordi già all’epoca della loro firma, tanto che quando salì al governo per la prima volta nel 1996 fece di tutto perché non venissero attuati. Penso che proprio Netanyahu sia uno dei maggiori ostacoli alla pace.

 

Soprattutto da destra hanno criticato la proposta di boicottaggio delle università israeliane portata avanti dagli studenti. Pensa che sia un modo per mettere pressione al governo israeliano o rischia di colpire proprio quei settori della società civile israeliana non allineati con Netanyahu?

È una domanda che mi sono posto io stesso nel vedere che la conferenza dei rettori in Spagna ha approvato la sospensione degli accordi in vigore con le università israeliane. Sono d’accordo sul fatto che le università siano spesso dei luoghi in cui si forma il dissenso e la protesta e con cui quindi può aver senso rimanere in contatto. Allo stesso tempo però tra i più grandi sostenitori della ricerca in Israele c’è l’IDF che investe enormemente nelle Università. É bene guardare al contenuto delle collaborazioni con le università israeliane perché, se la ricerca porta all’innovazione in tema di armamenti si crea un problema per cui ha molto senso interrompere gli accordi. Sono convinto che non vadano isolati coloro che protestano contro questo governo israeliano. Ma sta di fatto che secondo i sondaggi solo il 4-7% dei cittadini israeliani condanna fermamente l’invasione di Gaza. In sostanza credo che la sospensione degli accordi possa servire non solo come strumento di protesta ma anche di vicinanza al popolo palestinese che viene bombardato anche nei campi profughi, proprio quei luoghi in cui gli viene detto di ripararsi. 

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