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L'asse Roma-Washington, per ora, è solo fuffa.

Writer: Koinè JournalKoinè Journal

di Luca Simone.


In queste settimane non si fa altro che parlare di Donald Trump, lo abbiamo fatto per il video generato con l’IA su Gaza. Un video che ha scatenato polemiche feroci per una serie di motivazioni, in primis umane. Critiche che sono venute anche da destra. Ma in queste ore è tornata prepotentemente nel discorso pubblico la questione relativa all’Ucraina, l’altro grande fronte su cui si sta muovendo Donald Trump.

 

Qualche giorno fa è andato in scena un vertice a Washington a cui ha partecipato Emmanuel Macron. Il presidente francese si è recato negli USA per tenere il punto della situazione in merito alle trattative di pace che Trump intende portare avanti con la Russia, cercando di ritagliare non solo alla Francia, ma anche all’Europa un ruolo che sia più diretto.

 

Non è un mistero poi che tra i due non scorra buon sangue, era così anche durante la prima presidenza Trump, quando si scambiarono stilettate a proposito dell’utilità della NATO. Ecco l’altro giorno è andato in scena un altro episodio di questo confronto tra i due, con Macron che in mondovisione ha corretto Donald Trump in merito alla narrazione che stava facendo del conflitto in Ucraina, e nello specifico riguardo ai fondi che l’UE avrebbe erogato a Kiev. Per Trump l’UE non avrebbe fatto altro prestare soldi all’Ucraina. Ecco questo è vero, ma solo in parte, in quanto Bruxelles non solo ha fornito più aiuti all’Ucraina degli USA, ma lo ha fatto anche senza ricorrere allo strumento dei prestiti, ma utilizzando come garanzia i beni russi congelati in Europa. Una correzione che Trump non ha affatto gradito.                    

 

Dopo aver duramente attaccato l’Europa dicendo che “è stata creata per fregarci”, Trump ha imposto dazi al 25% su tutti i beni di importazione europea, una mossa a cui l’Europa ha minacciato di voler reagire con durezza. Macron, infatti, in qualità non solo di presidente francese, ma di capofila del fronte unionista europeo, ha detto che l’Europa reagirà punto per punto alle provocazioni americane, in particolare sanzionando acciaio e alluminio, due beni strategici per Washington, che ricava enormi profitti dalla loro vendita in Europa.

 

Ora, cerchiamo di fare chiarezza, sicuramente Macron non ha alcuna autorità formale per parlare a nome dell’UE, motivo per cui molti hanno criticato questa sua scelta. Bisogna però riconoscere alla Francia (e quindi al presidente francese) di essere uno dei tre Paesi più importanti diplomaticamente, economicamente e militarmente del continente, assieme a Germania e Regno Unito, e questo gli garantisce per forza di cose una libertà di manovra sicuramente maggiore rispetto ad altri Paesi come ad esempio l’Italia.

 

La Francia, inoltre, fin dalla prima presidenza Trump aveva cercato di assumere la guida del fronte unionista, quello contrario quindi ad una disgregazione e ad un indebolimento dell’autorità dell’UE, invocando misure che potessero consentire di ritagliare un ruolo di maggiore importanza a livello internazionale ad un organismo che ha sempre fatto difficoltà a percepirsi e a farsi percepire come attore credibile. Basti pensare a quello che sta succedendo in questi giorni per quanto riguarda le trattative sull’Ucraina, dalle quali per adesso rimaniamo esclusi formalmente, un po’ per la volontà di Trump di tagliare i ponti con l’Europa, un po’ per l’incapacità dimostrata finora di accreditarci internazionalmente. 

 

Ormai è evidente da tempo, al netto della linea eccessiva di Trump, che gli USA non avessero alcuna intenzione di continuare a garantire l’UE con il proprio scudo militare senza che questa facesse importanti concessioni. Questo processo non va avanti dal Trump I, ma da ben prima. È chiaro almeno dalla prima presidenza Obama che il nuovo fronte caldo per gli USA è quello del Pacifico, e che il desiderio di Washington è disimpegnarsi dall’Europa il più possibile. Vi sono ovviamente metodi e metodi e linee di politica estera diverse. Sicuramente la linea democratica non puntava affatto sulla costruzione di un asse con la Russia, almeno non formalmente, ma sul convincimento graduale dell’Unione Europea a collaborare e non solo a godere della propria sicurezza militare. Tradotto, aumentare i propri investimenti in armamenti per consentire agli USA di disimpegnarsi e concentrarsi nel Pacifico.

 

La visione globale di Trump invece è diversa, e lo è per carattere e convinzioni personali e per affinità ideologiche. Trump è e ragiona come un autocrate, ed è umanamente molto più a affine a Putin che alle democrazie europee, questo si traduce nel fatto che la sua linea di politica estera si fonda sulla volontà di riavvicinarsi alla Russia di modo da distaccarla dalle braccia di Xi Jinping, dove Putin si era andato a rifugiare negli ultimi anni. Spezzare questo legame è il principale obiettivo di Trump, di modo da poter dialogare con Pechino da una posizione di forza. La vecchia linea democratica, di Biden prima e Obama ancor prima, prevedeva invece il mantenimento di posizioni salde in Europa, e la normalizzazione dei rapporti con la Russia, quest’ultima da ricercarsi anche grazie alla mediazione europea.

 

In tutto ciò, dove ci collochiamo noi? Dove è messa l’Italia ora? L’Italia attualmente si trova in una posizione molto complessa, perché ideologicamente Giorgia Meloni è molto vicina a Donald Trump, e intrattiene un rapporto personale apparentemente molto stretto con Elon Musk, quindi questo faceva pensare in un primo momento ad un ruolo di primo piano dell’Italia in merito alle più importanti questioni internazionali che l’Europa avrebbe dovuto regolare con gli USA. Questo però non sta avvenendo, perché conti alla mano l’Italia, pur essendo una delle principali economie del pianeta, non ha un reale peso contrattuale all’interno dell’UE per quanto riguarda le nuove sfide internazionali.

 

A condurre le trattative con Trump, infatti, quelle reali e non la propaganda, sono Starmer e Macron, perché Regno Unito e Francia posseggono gli unici due arsenali nucleari dell’Unione Europea, e sono quindi in grado di farsi carico della sostituzione dello scudo nucleare americano in caso di disimpegno dall’Europa di Washington. L’Italia in questo risiko non ha una reale voce in capitolo, e a nulla sono valsi i malumori di Giorgia Meloni verso le iniziative del presidente francese, in quanto l’Italia ha ben poco da poter mettere sulla bilancia per Bruxelles in materia di sicurezza.

 

Questi sviluppi rendono la posizione dell’Italia ancora più precaria, perché Trump ha necessità di Giorgia Meloni da un punto di vista politico, come meccanismo di diffusione del trumpismo in Europa, ma non ne necessita in termini internazionali. Questo fa sì che la “tutela”, l’asse tra Roma e Washington sia molto più debole di quanto si possa pensare, e infatti al momento di lanciare la sua guerra doganale con i dazi al 25%, Trump ha incluso senza remore anche l’Italia, creando non pochi mal di pancia interni alla maggioranza.

 

Voci di dissenso si levano non solo da Forza Italia, partito membro dei popolari (quindi fortemente europeista e allineato a Macron), ma nella stessa Lega, dove molti ritengono che l’imminente crisi economica causata dai dazi verrà messa sul conto del centrodestra. Questa spaccatura rischia di lasciare col cerino in mano i filotrumpiani come Meloni e Salvini, perché non essendo maggioranza al Parlamento Europeo, Bruxelles potrebbe ricordarsi degli sgambetti e dei sabotaggi, decidendo di rendere la vita difficile a chi l’ha resa difficile a lei. Occhio per occhio, dente per dente…





Image Copyright: Governo.it

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