di Stefano Ambrosino.
Durante un comizio di Trump a Butler, in Pennsylvania, un cecchino ha aperto il fuoco contro l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America. L’uomo si chiamava Thomas Matthew Crooks, 20enne di Bethel Park. Mentre il Tycoon stava portando avanti il suo discorso, Crooks è salito sul tetto di un edificio distante 130 metri dal palco, imbracciando il suo fucile, un AR-15, e ha esploso diversi colpi. Uno di questi ha sfiorato l’ex presidente, causandogli una ferita all’orecchio destro. Mentre la scorta cerca di fare scudo per portarlo in una zona sicura, Trump si dimena, si fa spazio e si mostra alla folla stringendo il pugno e con il volto insanguinato sotto una bandiera americana sbilenca, mentre urlando a gran voce “lottiamo, lottiamo”. In quel momento viene scattata la fotografia che meglio rappresenta la sfacciataggine, la forza bruta e la rabbia con cui si è sempre contraddistinto The Donald.
È sabato 13 luglio 2024, mancano 115 giorni alle elezioni e la storia è drasticamente cambiata.
Crooks, l’uomo che ha sparato, ha mancato Trump ma ha ucciso un membro della folla e ne ha feriti altri due. Dopo aver aperto il fuoco è stato immediatamente neutralizzato dagli agenti dei servizi segreti. Ancora non sono chiare le motivazioni che hanno portato Crooks a voler assassinare Trump. Quello che sappiamo al momento, ad indagini ancora in corso, è che Crooks era registrato come elettore repubblicano ma che, secondo i registri pubblici, una volta ha donato 15 dollari ad un’associazione schierata con i democratici, la Progressive Turnout Project, che si impegna a sostenere l’affluenza alle urne. Inoltre, pare che l’attentatore avesse dell’esplosivo nella sua auto e in casa.
Non è la prima volta che si attenta alla vita di un inquilino (o ex) della Casa Bianca. Infatti, dei 46 presidenti americani, ne sono stati uccisi 4: Lincoln, Garfield, Mckinley e, più recentemente, John Kennedy. Alcuni presidenti, invece, sono sopravvissuti. È il caso di Franklin Roosvelt, Truman, Theodore Roosvelt e Ford. L’ultimo, in ordine cronologico, è stato Ronald Reagan nel 1981 che rimase fortunatamente solo ferito. Dunque, tre anni dopo l’assalto a Capitol Hill, il sistema di sicurezza americano non si è dimostrato all’altezza di proteggere un ex presidente. In questo caso le autorità dovranno chiarire com’è stato possibile che un attentatore armato di un fucile possa essersi avvicinato così tanto ad un comizio elettorale di un ex presidente, e com’è stato possibile che sia riuscito ad arrampicarsi indisturbato sul tetto di uno degli unici edifici presenti intorno all’area dell’evento.
In ogni caso, aldilà delle dinamiche dell’evento, si può affermare che Trump esce da questo attentato insanguinato ma politicamente trionfante. Infatti, mentre i democratici e le istituzioni in tutto il mondo erano concentrati a condannare fermamente l’attacco e le ondate di violenza, i repubblicani lodavano la resilienza, la forza e la tenacia del loro leader. Per di più, diversi esponenti repubblicani indicano come colpevole, o addirittura come “mandante” dell’attentato, il presidente Joe Biden. Infatti, puntando subito il dito contro gli avversari, sono stati ripresi (ed evidentemente travisati) alcuni commenti del presidente di qualche giorno fa quando, parlando con i suoi finanziatori, invitava i dem a smettere di parlare del disastroso dibattito, dicendo che “è il momento di mettere nel mirino Trump” (So, we’re done talking about the debate, it’s time to put Trump in a bullseye). Ovviamente Biden ha subito espresso la sua solidarietà nei confronti dell’ex presidente, ribadendo che in America, e in politica, non deve esserci spazio per la violenza.
Intanto, i Repubblicani si preparano per la loro convention nazionale, che si terra questa settimana a Milwaukee, e a cui Trump ha dichiarato che, nonostante tutto, sarà presente e ancora più agguerrito. Nella giornata di venerdì il Tycoon inoltre ha affermato che, per lui, sarebbe più facile affrontare un’eventuale Kamala Harris come sfidante, rispetto a Joe Biden. In ogni caso, il primo luglio la corte penale ha concesso l’immunità parziale a Trump circa i fatti di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, sentenza che gli permette di evitare di comparire davanti all’ennesimo tribunale prima delle elezioni. Ancora, la CNN riporta che Meta ha annunciato che rimuoverà le restrizioni degli account di Facebook e Instagram di Trump per garantire la parità di condizioni tra i candidati, e Blombeerg afferma che Musk abbia donato una considerevole somma di denaro ad un gruppo politico che lavora per la rielezione del Tycoon, indiscrezione che assumono ancora più valore dopo che, con un tweet, Musk si è schierato apertamente con Trump.
Dopo l’attentato, molti repubblicani sono ancora più convinti che Trump trionferà in maniera netta alle elezioni. Anche perché all’interno del partito democratico le cose non vanno affatto bene…
Cosa succede nel partito di “Sleepy Joe”?
A poco più di un centinaio di giorni dalle votazioni presidenziali americane, su tutti i giornali del mondo si parla di un tema fondamentale: il Presidente uscente Joe Biden, candidato dei democratici, è in condizioni psicofisiche adatte per portare avanti una campagna elettorale e per reggere ad altri 4 anni di presidenza?
Sebbene già da tempo si temeva per la sua mancanza di lucidità, dallo scorso 27 giugno, data del dibattito tra i due candidati Biden e Trump (che vi abbiamo raccontato qui) sembra che non si parli d’altro. Infatti, dopo la bruttissima performance dell’attuale presidente, che lui stesso ha ammesso, molti politici, finanziatori, giornalisti o semplici sostenitori del partito democratico hanno cominciato a nutrire non pochi dubbi circa la candidatura di Biden, chiedendogli apertamente di ritirarsi dalla corsa alla presidenza, lasciando il posto a chi è più fresco e rampante.
Ma come avviene la scelta del candidato presidente tra i democratici? Da gennaio in poi si sono tenute le primarie del partito, in cui i sostenitori dem hanno potuto votare tra diversi candidati. I risultati delle primarie assegnano proporzionalmente dei delegati che sono vincolati a votare il candidato vincente alla convention nazionale che si terrà a Chicago in agosto. Biden ha vinto la maggioranza dei delegati che servono alla nomination ufficiale. Dunque, a primarie concluse, solo Biden stesso può indirizzare questi delegati a votare per un altro candidato, poiché essi sono obbligati a votare per lui a meno che non si ritiri.
Il precedente
Non sarebbe la prima volta che un candidato presidente democratico si ritiri dalla corsa dopo aver vinto le primarie. È già successo, infatti, con Lyndon B. Johnson il 31 marzo 1968. In quel periodo, il Paese aveva gli occhi puntati sulla guerra in Vietnam e le proteste erano accese in tutte le città americane. Il Partito Democratico arrivò alla convention di Chicago con enormi divisioni interne e, come prevedibile, questa precipitò nel caos. Alla fine il vincitore di quella convention fu Humphrey, che però perse in maniera disastrosa le presidenziali contro Nixon. Per quanto non si possa paragonare il 1968 al 2024, il parallelismo più importante che può venire fuori è che anche in questo caso i delegati si troveranno a votare qualcuno che non ha mai vinto una sola primaria di partito.
Il fuoco amico
In ogni caso, anche se nessuno può costringere Biden a farsi da parte, in molti stanno cercando di lasciarlo completamente isolato, facendogli terra bruciata intorno. Parliamo in particolare del fuoco amico che proviene soprattutto dalla stampa progressista, come il New York Times che in questi giorni sta facendo praticamente di tutto per convincere Biden a ritirarsi, riportando anche notizie false, poi smentite. È il caso dell’articolo in cui il NYT parla delle frequenti visite di un esperto di Parkinson alla Casa Bianca, “otto volte in otto mesi”, notizia riportata con enfasi e gravità, salvo poi scoprire che si trattava di semplici controlli di routine a cui si sottopongono ciclicamente tutti i presidenti. Oppure al lungo editoriale scritto da George Clooney, uno dei maggiori (oltre che il più influente) finanziatori del partito democratico, in cui afferma che Joe Biden deve abbandonare la corsa, che non è più quello di una volta. Secondo POLITICO, inoltre, Clooney si sarebbe consultato con Barack Obama prima di pubblicare l’editoriale e pare che, sebbene non l’abbia incoraggiato, l’ex presidente (ancora estremamente influente tra i dem) non avrebbe nemmeno cercato di opporsi.
Anche la potente ex speaker della camera Nancy Pelosi ha espresso le sue perplessità circa la candidatura del presidente Biden, seppur meno apertamente. Infatti, dice di sostenere qualsiasi decisione che prenderà il presidente, ma lo invita a farlo velocemente, in tempi stretti. Successivamente, però, ha consigliato ai democratici non convinti di una ricandidatura di aspettare il Summit NATO che si è tenuto la scorsa settimana, prima di procedere con pressioni ancora più decise. Insomma, seppure non si sia schierata apertamente, ha certamente “autorizzato” a farlo. Al momento, si contano già una ventina di membri del congresso che chiedono a Biden di ritirarsi.
La cosa che più sorprende è che tutte le forze che ora gli danno contro, ossia il partito, i giornali progressisti e tutti i finanziatori, gli hanno steso un tappeto rosso fino al giorno del disastroso dibattito. Infatti, anche le stesse primarie si sono trasformate in una pura formalità, in quanto non vi era un degno avversario politico in grado di scalfire la leadership di Biden. Ed è per questo che, paradossalmente, a quattro mesi dalle elezioni Biden si vede costretto a difendersi dagli attacchi dei suoi stessi sostenitori, piuttosto che concentrarsi a lottare contro il suo vero avversario, ossia Donald Trump. Per difendersi da questi attacchi, lo staff di Biden sta cercando di far passare le sue interviste come una manifestazione di forza, come a suggerire che la sera del dibattito è stata un’eccezione, un unicum, che non si ripeterà più. Ma ecco che, dopo sole due settimane, al momento più importante il Presidente si rende protagonista di due enormi gaffe che non possono certo passare inosservate e che, anzi, vengono interpretate come estremamente indicative del suo stato attuale.
Ma cosa ci dicono i sondaggi?
Nella media dei sondaggi proposta da FiveThirtyEight, al momento Biden si troverebbe dietro Trump del 2,1%, percentuale per niente bassa. Secondo la stessa agenzia, Biden sarebbe dietro in tutti i cosiddetti Swing State. Per il modello probabilistico del The Economist Trump, al momento, avrebbe addirittura il 75% di probabilità di vittoria (percentuale forse destinata a salire dopo l’attentato). Per quanto con le ultime elezioni, soprattutto quelle del 2016, abbiamo visto come i sondaggi possono non essere necessariamente indicativi del voto finale, questi sono numeri che non possono non essere presi in considerazione. Inoltre, sono sondaggi effettuati prima della sparatoria di sabato ma è chiaro che, dati i recenti avvenimenti, le percentuali potrebbero incredibilmente cambiare.
In conclusione, pare evidente che la spaccatura nel partito democratico non stia giovando nessuno, se non i repubblicani. Il dibattito si sta costruendo soltanto sulle condizioni di salute del presidente Biden e questo certamente distrae dal combattere il vero avversario politico e le sue frequentissime bugie elettorali. L’attuale Presidente è una persona anziana, e in quanto tale le gaffe e gli errori che stiamo vedendo ultimamente saranno sempre più frequenti. Anche il suo modo di fare giri di parole interminabili (come si è visto nella sua ultima conferenza stampa) saranno sempre più frequenti, in quanto spesso sembra perdere il filo del discorso. Se Biden dovesse decidere di abbandonare la corsa è bene che lo faccia il prima possibile, per cercare di costruire una campagna elettorale quantomeno dignitosa per chi prenderà il suo posto. Se si continua di questo passo, a novembre si parlerà di un suicidio da parte del partito democratico, che porterebbe Trump non solo a vincere, ma a stravincere, con tutte le conseguenze che questo porterà.
Questi sono certamente giorni decisivi per Biden, per l’America e per il mondo intero, vista la straordinaria importanza di queste elezioni.
Image Copyright: AP
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