di Luca Simone.
Lo scorso weekend si sono svolte in tutta Europa le elezioni per rinnovare il Parlamento, e c’era grande preoccupazione per l’avanzata dell’estrema destra, per la famosa “onda nera” che avrebbe travolto tutto ciò che avesse osato ostacolarla. Non è successo niente di tutto ciò, almeno non nelle proporzioni che si temevano. I moderati del PPE e i socialisti sono infatti riusciti, pur con fatica, a reggere l’urto dell’estrema destra euroscettica che, però, ha comunque mietuto importanti successi, soprattutto in Francia e Germania.
Il caso francese è sicuramente quello più preoccupante, ma a differenza di chi grida al disastro, qui si fanno analisi. Indubbiamente l’estrema destra è uscita vincitrice da queste elezioni, con il partito di Marine Le Pen che supera il 30%, schiacciando la formazione del presidente Macron, ma la sinistra risponde presente. Dopo anni di assenza, infatti, tornano ad esistere i socialisti, con un solido 14%, seguiti a ruota dal partito di sinistra radicale guidato da Jean-Luc Melenchon che si attesta al 10%. L’unico grande sconfitto, dunque, è proprio Macron, che vede certificato il fallimento delle scelte politiche che gli hanno alienato il consenso del suo vecchio bacino elettorale.
La risposta a questa debacle è stata la convocazione di elezioni anticipate a doppio turno che si terranno tra la fine di giugno e i primi di luglio, e saranno chiarificatrici per il futuro della politica francese. Sicuramente l’estrema destra consoliderà la propria vittoria avendo il vento in poppa, ma Macron spera in un risveglio del suo elettorato per fermare l’onda nera. Sono già in corso riunioni tra i partiti di sinistra per saggiare la possibilità di creazione di una sorta di “Front Popu”, un cartello che riesca a riunire tutti quei mondi che non si identificano nel macronismo né tantomeno nel lepenismo. Il sistema politico francese sembra avviarsi verso una prova decisiva che decreterà se assisteremo allo spostamento verso un assetto bipolare. Intanto, secondo le ultime indiscrezioni circolate sulla stampa francese, Marine Le Pen avrebbe seccamente rifiutato un accordo elettorale con la formazione di Eric Zemmour, che ha un programma ancor più radicale del suo, strizzando invece l’occhio al partito postgollista. Un tentativo questo che mira ad attrarre quel voto moderato prima appartenente ai centristi del presidente, ma la situazione è ancora nebulosa.
L’altro Paese in cui l’onda nera si è abbattuta ma non con la forza che temevamo è la Germania. La formazione filonazista di AFD, fortissima nell’ex Germania Est, ha raccolto il 16% dei voti, scavalcando la SPD del cancelliere Scholz che si è fermata al 14%, mentre i Verdi hanno visto crollare le proprie percentuali al 12%. Il partito di centro moderato invece, la CDU, è riuscita a raccogliere il 30%, mostrando una certa capacità di resilienza. Sicuramente il dato per la sinistra tedesca non è affatto positivo, ma la Germania è un Paese storicamente moderato, e ancora una volta il suo elettorato ha mostrato di preferire soluzioni d’ordine centriste, pur dovendo constatare che una larga parte di chi si è recato alle urne ha risposto alla chiamata euroscettica e razzista di AFD.
Concludendo l’analisi più generale sulla situazione europea, questo voto ha mostrato (anche grazie al dato dell’astensione) come la politica targata Von Der Leyen non sia più tollerata da una fetta troppo ampia degli elettori. Nelle riunioni del Consiglio Europeo che si svolgeranno nei prossimi giorni, i leader dovranno per forza di cose confrontarsi anche con questo dato. Un’altra fase dominata dalle politiche ambigue, antisociali e tecnocratiche non è tollerabile e rischia seriamente di consegnare l’Europa in mano all’estrema destra, che non aspetta altro che si commetta questo errore.
Passando al caso italiano, la situazione sembra essere simile a quella francese (o forse sarebbe più corretto affermare il contrario). FDI ha raccolto quasi 3 punti percentuali in più rispetto alle ultime legislative, ma in termini assoluti, contando un’astensione maggiore, ha perso più di 600mila voti, mostrando come a dispetto dei proclami di vittoria, sia imperativo parlare di una flessione. Ad uscire realmente vincitrice dalla tornata elettorale è la sinistra propriamente detta, e non solo in termini percentuali. PD e AVS hanno infatti raccolto quasi 700mila preferenze in più rispetto al 2022 (200mila il PD e 500mila AVS), mostrando di essere forze in crescita. I veri mutilati di questa tornata elettorale sono i 5S e gli ex inquilini del Terzo Polo. I primi hanno perso più di 2 milioni di voti, un salasso dovuto alla mancanza di un programma credibile, alla rinuncia a candidature di peso e al mancato collocamento in un gruppo al Parlamento Europeo. Gli elettori pentastellati non hanno infatti capito perché avrebbero dovuto votare per un partito che non avrebbe contato nulla a Bruxelles. L’ex duo, stavolta diviso, Renzi-Calenda, invece, non è riuscito neanche a superare la soglia del 4%, dimostrando ancora una volta come in Italia un centro moderato non esista più, soprattutto ora che si va verso un bipolarismo strutturale.
La situazione che emerge dalle urne è infatti proprio questa. La polarizzazione dello scontro tra PD e FDI sta creando i presupposti per la nascita di due poli distinti, uno progressista e l’altro conservatore, in un revival di quel panorama che accompagnò l’Italia nel primo decennio degli anni Duemila. Oggi pare chiaro che gli elettori (pochi, il dato dell’astensione è raccapricciante) non sono più attratti da formazioni ibride che non hanno chiara la loro collocazione e che fanno del cerchiobottismo la propria ragion d’essere, quella stagione è finita. Proprio ieri ricorreva il 40esimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer, e risuonano più importanti che mai le sue parole: “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non uno per uno”.
Il più grande sconfitto è sicuramente Conte, che vede certificato il naufragio del proprio progetto politico, e che si trova ora a dover fare i conti con l’ennesima rifondazione dei pentastellati. La strategia di personalizzare lo scontro con il PD per strappare una manciata di voti in più da mettere sulla bilancia per poter rivendicare il ruolo di leader del campo largo (come avvenne a Bari) è clamorosamente fallita. Anche in via del Nazareno, però, è opportuno fare analisi e non fermarsi ai meri festeggiamenti. Tra tutti i big in campo, Elly Schlein è quella che è andata peggio raccogliendo poco più di 200mila preferenze. È vero che era candidata solo in 2 circoscrizioni su 5, ma in proporzione è risultata comunque la big meno votata, a dimostrazione di come non ha possibilità di vittoria se cerca una contrapposizione personale con Meloni. Il PD ha dimostrato di essere un partito strutturato e non personalistico, ed è solo come organico che può sperare di battere il suo avversario.
Anche in questo caso, ascoltassero le parole di Berlinguer, che sono state dimenticate da troppi e troppo in fretta.
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