di Michele Mariani.
La scuola italiana è fondata sulla precarietà dei docenti. L’anno scolastico appena partito registra il record di precari, se ne contano più di 250.000. La ragione principale è sicuramente dettata dal fatto che l’Italia è indietro, anche rispetto agli altri stati europei, con il solo 4,2% del Pil e il 7% della spesa pubblica destinati all’istruzione. Le ragioni sono da attribuire a una scarsa programmazione per il reclutamento, alle nuove procedure per l’abilitazione e al sistema di assunzioni dettate dall’algoritmo, una procedura informatizzata, introdotta nel 2020 dall'ex ministra Azzolina, che assegna le cattedre in base alle preferenze dei docenti senza che questi conoscano i posti a disposizione nelle scuole in cui inviano la richiesta. Infatti succede spesso che le cattedre vengono assegnate a chi si trova in una posizione più bassa in graduatoria.
Il problema non è in sé l'algoritmo, ma come lo si usa e finché il governo non mostrerà più trasparenza il risultato non cambierà. Tutto ciò genera incertezza e crea un disallineamento tra assunzioni programmate e posti effettivi a disposizione. La conseguenza è che l’accesso a scuola diventa problematico sia per chi ha già esperienze nell’insegnamento e per tutti quegli aspiranti che hanno deciso di intraprendere questa strada. L’ultimo attacco alla scuola è arrivato con l’applicazione del D.P.C.M del 4 agosto 2023 che ha sancito l’entrata in vigore dei nuovi percorsi abilitanti. Il decreto fu formulato da Patrizio Bianchi, l’ex ministro dell’istruzione del governo Draghi, ed è stato recepito e attuato dall’attuale ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara. In sostanza sono stati introdotti nuovi crediti formativi universitari da ottenere per abilitarsi e per sostenere i futuri concorsi. A seconda della casistica è necessario iscriversi a corsi da 30 cfu se si ha già un’abilitazione in una classe di concorso o nel percorso TFA o 3 anni di servizio, 36 cfu (ancora in fase di stallo a causa dei ritardi nella conclusione (entro dicembre 2024) del concorso straordinario-ter iniziato a marzo del 2023) se si sono conseguiti i 24 cfu entro il 31/10/2022 e da 60 cfu per i restanti.
Precedentemente a queste modifiche era “solamente” necessario per partecipare ai concorsi avere il titolo di laurea più un percorso integrativo da 24 cfu su discipline quali la didattica, la metodologia, la psicologia e la pedagogia. Le problematicità aperta da questo decreto sono molteplici tra cui: la divisione in percorsi abilitanti a seconda della posizione del singolo docente - tutto ciò ha portato frammentazione all’interno della categoria degli insegnanti, ognuno occupato a salvaguardare la propria posizione - invece che fare fronte comune ed esternare le problematicità della questione. I costi per accedere sono elevati ed insostenibili, tra i 2000 euro e i 2500 euro a seconda del percorso a cui si deve partecipare. Ciò, di fatto, pone un freno economico enorme alla possibilità di accedervi. Inoltre i corsi sono a numero chiuso e per l’attivazione bisogna aspettare il bando del ministero, che allo stato attuale, ha bandito solo un percorso, iniziato a fine estate, dichiarando però che l’accesso a questi percorsi sarà l’unico modo per partecipare ai futuri concorsi. Altri due punti rilevanti non devono sfuggirci. Per primo le discipline di cui sono composti i corsi sono le stesse dei 24 cfu, che moltissimi hanno già conseguito, e molti di questi percorsi sono stati attivati dalle università telematiche, anche se le università pubbliche si sono mosse in tal senso. Di fatto lo Stato, con questo sistema, sembra favorire le università telematiche e private perché queste modalità creano una domanda di aspiranti che molte università telematiche potrebbero soddisfare più facilmente e rapidamente rispetto a quelle pubbliche, attirando, in questo modo, più studenti e più fondi.
Grazie a questi percorsi è stata abolita sia l’abilitazione in seguito alla vittoria di un concorso sia le graduatorie di scorrimento per gli idonei non vincitori che permettevano l’ingresso a scuola fino ad esaurimento della stessa. Tutto ciò ha creato un sistema diseguale, classista e una spirale di precariato di cui non si vede la fine. Sotto questo aspetto, inoltre, l’Italia è stata deferita, dalla Commissione europea, alla Corte di Giustizia europea, in quanto non ha posto fine all'utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie (direttiva 1999/70/CE del Consiglio). Secondo la Commissione, l'Italia non dispone delle norme necessarie per vietare la discriminazione in relazione alle condizioni di lavoro poichè fa utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato. La Commissione osserva che la legislazione italiana che determina la retribuzione dei docenti a tempo determinato nelle scuole pubbliche non prevede una progressione salariale incrementale basata sui precedenti periodi di servizio. Ciò costituisce una discriminazione rispetto ai docenti assunti a tempo indeterminato, che hanno invece diritto a tale progressione salariale.
Dall’esercito “industriale di riserva” “all’esercito scolastico di riserva”
Era il 1867 quando Karl Marx, nel I libro del Capitale, esponeva la sua analisi socio economica del capitalismo. Da essa derivò la famosa teoria del plusvalore e la contraddizione insita nel rapporto capitale-lavoro da cui si genera lo sfruttamento dei lavoratori e di conseguenza la crisi endogena prodotta dallo stesso sistema. Marx partendo dall’analisi dei rapporti economici indotti dal capitalismo affermava che: "la creazione della disoccupazione è funzionale al mantenimento delle condizioni attraverso cui si formano i nuovi rapporti sociali". Con l’espressione “esercito industriale di riserva” definisce: “quella parte della popolazione che non risulta occupata, ovvero che, date le necessità di valorizzazione del capitale, risulta eccedente".
Per il critico dell’economia politica la formazione dell'esercito industriale di riserva è un elemento funzionale al processo produttivo del sistema capitalistico in quanto è l'unica variabile in grado di calmierare la crescita dei salari e la conseguente riduzione dei profitti. Marx individuava la causa della creazione dell’esercito industriale di riserva nella meccanizzazione del lavoro che aveva come conseguenza l’aumento della disoccupazione. Oggi la crescente digitalizzazione della società tramite il processo della globalizzazione ha rimodulato ogni ambito sociale, favorendo negli ultimi trent’anni una massiccia privatizzazione di quei settori ritenuti di interesse pubblico e collettivo. La scuola non è esente da questo processo, potremmo persino ribaltare la “felice” espressione marxiana e affermare che queste dinamiche, favorite da 30 anni di riforme inefficaci, ha così creato un “esercito scolastico di riserva” relegando alle leggi del mercato l’accesso alle cattedre e in cui la compravendita di titoli si è affermato come status domini per l’accesso ai canali dell’insegnamento e di reclutamento pubblici.
La continua formazione tramite l’acquisto di titoli ha anche ricadute sulla qualità dell’insegnamento e sulla relazioni scolastiche con studenti e studentesse. Inoltre la continuità della relazione non è assicurata e potrebbe portare anche a rinunciare all’incarico per accedere al percorso abilitante. Questo cambio di paradigma ha portato la scuola ad essere, più che un luogo di formazione e generazione di pensiero critico, un’azienda di collocamento e volta alla formazione di forza-lavoro in cui ad essere centrale non sono più le relazioni e l’interesse per lo studio, ma, la preparazione di studenti e studentesse al mondo del lavoro. Si diffonde così una cultura della competitività e del “merito” che distruggono le relazioni scolastiche comportando anche ricadute psico-fisiche per chi non riesce ad adeguarsi a questa realtà.
La scuola dovrebbe essere libera da queste dinamiche è concepita come un momento in cui si maturano, consapevolmente, le scelte per il futuro. La scuola ha bisogno di tutt’altro, come ad esempio un massiccio investimento pubblico per le sue infrastrutture, ormai fatiscenti, un sistema di reclutamento pubblico che permetta a tutti di realizzare la possibilità di accedere all’insegnamento e condizioni contrattuali adeguate e rispettose.
Il paradigma neoliberale
In sostanza l’estrapolazione del valore non deriva più dalla produzione materiale, di cui la classe operaia era vittima, ma da quella immateriale secondo cui l’estrazione del valore è decisamente più pervasivo e va ad intercettare il concetto di capitale umano. “La messa al valore di ogni aspetto della vita umana” come afferma Andrè Gorz, nel suo famoso libro, l’Immateriale. Conoscenza, valore e capitale. L’elemento centrale dell’immateriale è formare il “capitale umano” necessario a un’economia di mercato.
La trasformazione neoliberista ha investito anche la scuola in almeno due direzioni: in primo luogo, il tentativo di fare della scuola una palestra di competizione; in secondo luogo, la riduzione della scuola a una fabbrica di capitale umano.
Il principio della concorrenza deve diventare anche il motore del lavoro scolastico.
Le scuole vengono concepite come aziende che competono tra loro in una sorta di mercato della formazione. Per risultare vincenti, esse devono promuovere la concorrenza tra i docenti per la conquista di incentivi e premialità, e devono organizzare la vita scolastica come una gara meritocratica tra gli studenti.
In questo modo, si sostiene, si formerà l'imprenditore di sé, caratterizzato dallo spirito di iniziativa e dall’atteggiamento competitivo, e quindi la scuola diventerà una palestra per preparare i giovani alla lotta che li attende nella giungla sociale.
Il secondo aspetto riguarda: la riduzione della scuola a fabbrica di capitale umano. Per capitale umano s’intende l’insieme di conoscenze e di competenze incorporate durante la formazione e utilizzabili nel processo di produzione.
Si sostiene che nell'epoca della globalizzazione deregolamentata, fondata sulla conoscenza, il capitale umano è diventato il primo fattore della produttività e della competitività dei sistemi socioeconomici. Pertanto, la funzione della scuola è quella di formare capitale umano, necessario al sistema produttivo. In altre parole, il rapporto tra scuola e società viene letto secondo questo paradigma: il compito della scuola è quello di essere al servizio del sistema socioeconomico. Lo scopo è quello della formazione del produttore competente e competitivo.
Quale idea di scuola?
La scuola è quell’ambito in cui più la politica ha provato a riformare più ha creato disastri dalla Riforma Gelmini, alla Buona Scuola fino alla Riforma Bianchi. Un susseguirsi di decisioni non in grado di comprendere la complessità della vita scolastica, l’intreccio di vite e relazioni che si vengono a dispiegare nelle classi.
Il problema più rilevante da questo punto di vista è che queste riforme non hanno una visione di lungo periodo e appaiono completamente disaccoppiate rispetto a ciò che chiederebbero docenti, studenti e studentesse. La necessità sarebbe quella di ascoltare le voci di questi ultimi per capire effettivamente cosa servirebbe alla scuola. Le riforme estemporanee hanno solamente creato instabilità, precarietà e abbandono scolastico. I fondi stanziati dal Pnrr sono stati utilizzati per mettere a soqquadro ancora di più la scuola con concorsi non abilitanti e percorsi abilitanti di difficile accesso e fattibilità. Questi soldi sono stati utilizzati anche per digitalizzare gli ambienti scolastici, ma a che pro se poi manca personale e si attuano decreti per vietare l’utilizzo dei cellulari in classe per scopi didattici?
La progressiva richiesta di competenze tecniche e digitali da parte delle aziende per la ricerca di personale ha trasformato anche le programmazioni scolastiche volta a inculcare il nozionismo e competenze spendibili direttamente nel mercato del lavoro. Ciò è emblematico tra l’altro dalle nuove indicazioni di educazione civica divulgate dal ministero dell’istruzione del merito. Si relega la Costituzione a mera carta giuridica, e invece che promuovere concetti quali inclusione, cittadinanza attiva, decrescita e tutela ambientale, si innalzano i concetti di cultura d’impresa e difesa della Patria. Concetti assai problematici per il semplice fatto che si instilla competitività e una cultura manageriale promuovendo inoltre un concetto di nazione non in linea con la multietnicità delle scuole italiane. Da questo punto di vista è importante sottolineare questo dato: si contano 914 mila studenti senza cittadinanza nelle scuole italiane, di cui il 65% di questi nati in Italia e in attesa della cittadinanza a cui potranno accedere solo una volta compiuta la maggiore età. Le differenze che aiutano tutti a crescere, favorendo l’incontro con altre percezioni del mondo, e che dovrebbero essere percepite come valore aggiunto, vengono annullate e assimilate. Cioè è sintomo di che tipo di scuola si vuole edificare.
Il problema a monte è: quale idea di scuola abbiamo in mente; una scuola al servizio della comunità o una scuola al servizio del mercato? Una scuola che educa alla complessità e allo spirito critico o che assoggetta ai valori del potere e all’obbedienza?
L’alternativa possibile
Una scuola più precaria, aziendalista, individualista in cui si sono reintrodotte logiche volte alle sanzioni, punizioni e allontanamenti per gli studenti e studentesse tramite un decreto che reintroduce il voto in condotta come strumento di obbedienza. Usare la valutazione come mezzo per sorvegliare e punire non aiuta nessuno e anzi porta a incrinare le relazioni scolastiche. Se davvero si vuole intervenire sulla costruzione di una comunità educativa che pratichi il rispetto, in tutti i sensi, la scelta di ancorare certi atteggiamenti, comportamenti e condotte a un premio e a una punizione è irricevibile dal punto di vista etico e pedagogico ed è destinata al fallimento. Il cambio di paradigma è emblematico di un processo che mira a introdurre metodi autoritari e repressivi all'interno della scuola, pronti a stigmatizzare certi comportamenti piuttosto che affrontare le problematiche che possono palesarsi all'interno delle classi. La convinzione che si possa educare attraverso l'umiliazione, la coercizione e la violenza è alla base della ristrutturazione della scuola da parte del nuovo governo. Non si comprende che queste cose generano frustrazione nella relazione didattica e possono portare a comportamenti negativi. Sapere uscire dalla dicotomia "valutatore-valutato", per usare gli errori al meglio senza penalizzare, instaurando un rapporto basato sul confronto e il dialogo, è parte della responsabilità che la scuola è chi ne fa parte si deve prefiggere.
Unire la questione lavorativa e contrattuale con quella relativa alla formazione di studenti e studentesse è un elemento centrale. La scuola deve essere generatrice di pensiero critico e insieme pratica di liberazione, non un mezzo per inculcare e instillare concetti nocivi quali la concorrenza e la competitività. Queste idee pervasive, diffuse in ogni ambito sociale, non garantiscono una relazione scolastica di qualità. Semmai recintano all’interno di meccanismi che riproducono quei comportamenti “naturali” che portano a sacrificare le relazioni e la collettività e ad esaltare l’individualità. La scuola democratica deve garantire stabilità lavorativa agli insegnanti e portare all’interno della relazione scolastica la complessità del mondo, partendo dalla realtà delle questioni sociali e globali che vengono espunte dalle programmazioni scolastiche. La scuola ha a che fare con i corpi e con le voci di chi è parte della relazione scolastica. Uscire dalla dicotomia insegnante - studenti/studentesse ci permettere di mettere al centro la complessità del mondo e creare uno spazio di confronto e partecipazione in cui insieme si crea un movimento atto a creare una comunità educante. La responsabilità di trattare questioni di importanza sociale a scuola - come la salute mentale, il cambiamento climatico, la violenza di genere, le catastrofi umanitarie come conseguenze di guerre e dovute alla costruzione di muri da parte degli stati sui loro confini per respingere chi migra - è necessario per stimolare quel processo di cittadinanza attiva di cui l’istituzione scolastica si deve fare portatrice. In questo modo si crea uno sguardo sistemico, rispettoso ed empatico delll’alterità. La scuola non deve insegnare ad obbedire ma a pensare e non può permettersi di lasciare nessuno indietro.
Il movimento educazione senza prezzo
La necessità di riportare al centro del dibattito pubblico una riforma profonda della scuola che vada ad interessare una molteplicità di ambiti, tra cui la questione del reclutamento dei docenti, le programmazioni e le infrastrutture scolastiche, è di fondamentale importanza. Quest'estate il panorama scolastico ha visto la nascita del Movimento Docenti Scuola Educazione Senza Prezzo. L'iniziativa, nata online, si è dimostrato un punto d'incontro tra docenti precari, di ruolo, aspiranti, associazioni, cittadini e sindacati non confederali (Cobas) che hanno abbracciato il progetto. Il Movimento sceso in Piazza a Roma il 12 ottobre denuncia con forza il “mercimonio” che ha investito ogni ambito della scuola in questi ultimi anni. Il Movimento ha un’idea totalmente altra della scuola.
La prima critica è rivolta alle sigle sindacali, accusate di aver contribuito a difendere queste logiche di mercato, invece di difendere i diritti dei docenti. Il Movimento si prefigge di unire le forze e contrastare questa tendenza cercando di unire le frammentazioni che si sono create durante questi anni nel corpo docenti. Le principali proposte delineate dal Movimento, che si leggono nel manifesto programmatico, partono dalla creazione di una scuola democratica, gratuita e accessibile che si sostanzia su quanto segue: la revisione dell'ordinanza sui corsi abilitanti in modo da renderli gratuiti e accessibili a tutti. Una scuola più vicina alle esigenze reali di docenti, studenti e studentesse. La reintroduzione di concorsi abilitanti e di graduatorie di merito con scorrimento fino ad esaurimento che permetta l'inserimento nella scuola. La revisione del metodo e del sistema di assegnazione delle cattedre riprogrammando l'algoritmo, ispirandolo ai criteri di equità, coerenza e trasparenza. L'instabilità lavorativa porta inoltre a un forte impatto sulla qualità dell'offerta formativa erogata agli studenti. La necessità di restituire stabilità lavorativa ai docenti passa sia da una valorizzazione della professione sia da una riformulazione e rimodulazione contrattuale. Rendere noto all'opinione pubblica tutti i colpi inflitti alla scuola dal governo attuale, e da quelli preceduti, è quanto mai una lotta democratica che bisogna necessariamente compiere. Una trasformazione complessiva del sistema dell'istruzione non può più attendere.
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