di Diego Mongardini.
Il mondo è un posto complesso, una dimora difficile in cui abitare, ma sembra che troppe persone se ne siano dimenticate.
La narrazione del ‘tutto è possibile’, del ‘se vuoi puoi’, del ‘se puoi sognarlo puoi farlo’, ha inebriato le menti da più di un secolo. La retorica dello sforzo sovrumano per raggiungere ogni obiettivo ci ha reso dei sognatori in piena veglia. Tutto è diventato semplice, smart, alla portata di tutti. Il cervello artificiale svetta ogni giorno più intelligente, mentre quello naturale si rannicchia sempre più stupido, pigro, indolente. Non si invecchia più: si resta in una perenne giovinezza, in un’adolescenza senza fine, schiacciati da un narcisismo comportamentale sempre più estremo e diffuso.
Ormai siamo tutti adolescenti.
Una delle caratteristiche fondamentali dell’età adolescenziale infatti è il non riconoscimento della complessità del reale: ogni cosa è bianca o nera, sei con me o contro di me, sei un mito o non sei nessuno, ti amo o ti odio. Questo perché l’adolescente è mosso da ormoni in subbuglio, da una personalità non ancora formata e soprattutto dalla ‘pancia’, che orienta ogni sua decisione.
Negli anni ’60 il mercato si è reso conto dell’esistenza dei giovani, che iniziavano a contare qualcosa nella società. Ad un certo punto tutto parlava il linguaggio dei giovani, tutto era al servizio dei giovani: i più grandi consumatori, i più grandi masticatori di mode. Questo passaggio ovviamente non fu un caso. Il mercato, la pubblicità, la moda, la musica, il cinema, la TV, tutti i media cambiarono linguaggio, rendendo tutto uno spot, un jingle orecchiabile e vendibile, un messaggio pop. Ha funzionato. Le maglie del mercato si sono allargate sempre di più, perché se qualcosa funziona in un campo, perché non applicarlo a tutto il resto? Il linguaggio della pubblicità invase quello della politica, in nome di una regola comune: manipolare.
Esistono molte fallacie logiche, ovvero molte argomentazioni che pur essendo da un punto di vista logico errate, sono psicologicamente persuasive. Si tratta di ragionamenti che hanno tutta l’aria di essere corretti, appaiono in tutto e per tutto come tali, ma non lo sono. Ne esistono più o meno una ventina di principali, tra cui la cosiddetta bianco o nero: all’interno di una situazione x vengono presentate soltanto due alternative, anche se ne esistono di più, impedendo così una discussione limpida e corretta.
Es: ‘Sei con me o contro di me?’, ‘Non sono fascista. Allora sei comunista!’, ‘Solo io ho la verità e non sbaglio mai’, ‘Ci sono i bravi cittadini e i terroristi’, ‘Il passato è meraviglioso, il presente mi fa orrore’, ‘Lo sgrassatore x pulisce a fondo, i prodotti delle altre marche non funzionano’.
Tertium non datur.
Una fallacia questa che ha avuto particolarmente successo nella narrazione contemporanea, soprattutto in campo politico (basta leggere un giornale o accendere la TV e sintonizzarsi su un qualsiasi talk per averne la prova), sia come deliberata volontà di errata semplificazione delle problematiche complesse che come distrazione da problemi più gravi e urgenti.
Siamo molto più complessi di così, ma ancora per poco.
La realtà è complessa, da complexus, ‘abbracciato, cinto’: un tessuto in grado cioè di connettere i saperi, di cogliere i legami tra i processi, i fatti e i fenomeni. Il mondo è plurale, poiché convivono in esso innumerevoli visioni diverse, anche in contraddizione tra loro. Gli esseri umani non fanno eccezione: sono complessi, contengono moltitudini e le variabili che li abitano non sempre sono prevedibili, controllabili. Bisogna tenere conto di tanti elementi: razionalità, emotività, spiritualità, mondo inconscio. Tutte queste porzioni insieme ci rendono chi siamo: ci donano realtà, tridimensionalità. Polarizzare la realtà non fa altro che trasformarci in un modellino 2D, un cliché, una sigla, un’etichetta. Inoltre impigrisce il pensiero: se esistono solo un modello giusto e uno sbagliato, tutto quello che c’è in mezzo viene spazzato via, tutte le critiche diventano inutili.
A che serve criticare qualcosa se appare preconfezionato, semplice, alla portata di tutti? Perché ragionarci su? È pericoloso: se ci si sofferma troppo a pensare, anche una certezza può diventare una bugia. Far cadere verità dall’alto, in assenza di qualunque problematizzazione, di qualunque indagine, ci rende schiavi. Già i Greci pensavano che le verità del popolo, il cosiddetto ‘senso comune’, come sistema di credenze condivise, non doveva mai essere preso come oro colato, proprio perché quasi sempre finiva col banalizzare la complessità del reale, cavalcando superficiali pensieri acritici. Soprattutto nel pensiero stoico, per esempio, la saggezza doveva essere trovata tramite la conoscenza di sé, l’autoconsapevolezza: la verità era una conquista personale, in grado di comprendere tutte le possibili sfaccettature del mondo. Più si definisce, più si tenta di irretire la verità, più questa vola via leggera. Siete convinti di possedere delle armi infallibili? Proprio nel momento in cui penserete di aver catturato una maestosa aquila, vi ritroverete tra le mani un peluche sgualcito.
Proprio perché la realtà è complessa (e noi con lei) e mai davvero inscatolabile, il mondo contemporaneo crea instancabilmente certezze nuove, virtuali, mobili, iperveloci, di breve durata. Ci bombarda di immagini, apparenze. Il tempo è diventato una distrazione, una ricompensa: un insieme caleidoscopico di bocconcini succulenti che ci vengono somministrati come premi per non aver pensato, per aver chiuso gli occhi. Siamo obbedienti, dei bravi bambini, a cui viene ripetuto ossessivamente cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non abbiamo più responsabilità.
Tutto è facile. Tutto è smart. I media però, a differenza di quello che un bravo genitore dovrebbe fare, non mirano a creare esseri autonomi, ma solo automi. Facile controllare qualcuno non abituato a pensare, perché non è stato educato a farlo, non essendogli stati insegnati orizzonti ampi da guardare. Se togli la possibilità di vedere un orizzonte, quella persona non solo non lo vedrà mai, ma non riuscirà nemmeno a concepirlo.
Se la complessità viene uccisa in assenza di testimoni, nessuno potrà più immaginarla.
Cosa possiamo fare allora per reagire, per non essere testimoni muti di questo omicidio? Dobbiamo resistere. Al posto di ‘resilienza’ (parola molto in voga in questo periodo), occorre utilizzare resistenza: non dobbiamo cioè assorbire l’urto, ma contrastarlo. In che modo? Non accettando passivamente tutto quello che il mondo ci propina, ma criticarlo, opporre la nostra complessità.
Per resistere bisogna conoscersi il più possibile. I greci lo sapevano bene: γνῶθι σεαυτόν (gnothi seautón), conosci te stesso. Ovvio che è impossibile conoscersi perfettamente, perché siamo esseri in perenne cambiamento e in noi albergano oscillanti zone d’ombra, ma tentare di farlo al meglio si può. Dobbiamo accettarci per come siamo, conoscere i nostri limiti, i talenti e le priorità, seguire il δαίμων (daímon): la voce interiore della coscienza individuale, la realizzazione personale. È necessario seguire l’indole, strutturare la personalità, anche e soprattutto attraverso l’ascolto e il dialogo. Soltanto dopo aver acquisito una buona conoscenza di sé e imparato cosa ci piace e cosa no, cosa vogliamo, cosa ci fa stare bene, cosa ci riempie di senso e ci arricchisce, saremo pronti a mostrarci agli altri.
Il miglior modo di opporsi al mondo è vivere con autenticità, porsi le giuste domande, perché niente risplende, niente possiede tanta forza trasformativa più dell’autenticità. Si può educare chi si ha vicino alla bellezza e al rispetto solo vivendo per la bellezza e il rispetto.
Il potere (tecnico, politico, economico) ci vuole smart, distratti, insoddisfatti, superficiali. Resistiamo. Superiamo l’eterna adolescenza: accettiamo di non essere giovani per sempre. Accettiamo che molti nostri sogni non si realizzeranno. Non è sempre vero che ‘se vuoi puoi’, che bisogna superare per forza i propri limiti. I limiti vanno conosciuti, rispettati. È giusto a volte tirarsi su le maniche per superarli, certo, ma la fatica non deve essere la misura del valore di una vita.
Impariamo il linguaggio sano, vacciniamoci contro le manipolazioni, i falsi ragionamenti.
Non facciamoci guidare dai discorsi ‘di pancia’, perché siamo molto di più.
Salviamo la nostra complessità, il nostro umano, troppo umano.
‘L’anima, o caro, si cura con certi incantesimi, e questi incantesimi sono i discorsi belli’.
PLATONE, Carmide, 157a
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