di Riccardo Cuppoletti e Stefano Ambrosino.
Mercoledì 4 dicembre, la città di New York è scossa da un fatto di cronaca agghiacciante: il CEO dell’azienda UnitedHealthcare Brian Thompson viene ucciso a sangue freddo, raggiunto da un colpo di pistola esploso da un uomo ripreso da una telecamera di sicurezza.
Lunedì 9 dicembre, a 450km di distanza, Luigi Mangione viene arrestato in un McDonald’s in Pennsylvania, riconosciuto come il killer artefice dell’esecuzione.
La notizia assume una risonanza senza precedenti, rimbalzando dalle prime pagine dei giornali alle reti internet di tutto il mondo.
In maniera shockante, Luigi Mangione diventa un idolo, un eroe, un simbolo della lotta al
potere, paladino del malessere popolare legato in particolar modo alla questione sanitaria negli USA.
Ma chi è Luigi Mangione? Nasce in Maryland da una famiglia di origine italiana estremamente benestante: il nonno era un immobiliarista con un patrimonio costituito da country club, stazioni radio e una catena di case di riposo per anziani; studia prima in un liceo d’eccellenza a Baltimora (retta da 40mila dollari annui), diplomandosi come primo della classe e laureandosi poi alla University of Pennsylvania, un’altra prestigiosa accademia. Accumula esperienza lavorativa come ingegnere e lavora qualche anno in California. Fin dalla nascita soffre di un problema alla schiena, ossia uno slittamento di alcune vertebre. Lo scorso anno, in seguito ad un trauma causato da una violenta caduta, è costretto ad operarsi alla colonna vertebrale: da qui sarebbero potuti, secondo quanto raccontato da amici, iniziare problemi anche con la compagnia assicurativa (egli stesso ha parlato di un problema avuto con la medesima da un parente -probabilmente auto riferendosi- come una delle motivazioni alla base dei suoi gesti).
Al momento dell’arresto, con lui sono stati trovati l’arma del delitto (dettaglio da non trascurare, essendo una pistola creata autonomamente con una stampante 3D), alcuni documenti falsi e, soprattutto, un “manifesto” in cui spiega le motivazioni che lo hanno spinto ad uccidere il CEO della più grande azienda di assicurazione sanitaria d’America. Nel suddetto manifesto, che suona come una spiegazione dell’accaduto, Mangione scriveva:
“Per i federali: sarò breve, perché rispetto quello che fate per il nostro Paese. Per risparmiarvi una lunga indagine, dico chiaramente che non stavo lavorando con nessuno. È stato piuttosto banale: un po’ di ingegneria elementare, conoscenze basiche di progettazione digitale, molta pazienza. [...] Mi scuso per qualsiasi conflitto o trauma, ma doveva essere fatto. Francamente, questi parassiti se l’erano semplicemente cercata.”.
A conferma del carattere ideologico del gesto compiuto, Mangione spende parole di forte critica nei confronti del sistema sanitario americano:
“gli Stati Uniti hanno il sistema sanitario più costoso al mondo, eppure siamo all’incirca al 42esimo posto per aspettativa di vita. United è la [indecifrabile] più grande azienda negli Stati Uniti per capitalizzazione di mercato, dietro solo ad Apple, Google, Walmart. È cresciuta e cresciuta ancora, ma ha fatto lo stesso la nostra aspettativa di vita? No, la realtà è che questi [indecifrabile] sono semplicemente diventati troppo potenti e continuano ad abusare del nostro Paese per un profitto immenso perché il pubblico americano ha permesso loro di farla franca.
Ovviamente il problema è più complesso, ma non ho spazio e, francamente, non pretendo di essere la persona più qualificata per esporre l’argomento completo. Ma molti hanno fatto luce sulla corruzione e l’avidità (ad esempio: Rosenthal, Moore), decenni fa e i problemi semplicemente rimangono. Non è una questione di consapevolezza a questo punto, ma chiaramente di giochi di potere. Evidentemente sono il primo ad affrontarlo con una tale brutale onestà”.
Negli USA quella delle compagnie assicurative e più in generale quella della sanità privata sono tematiche estremamente salienti e che generano grande malcontento nella popolazione. Gli Stati Uniti destinano circa un sesto del loro PIL all'assistenza sanitaria; nonostante ciò, l'8% della popolazione resta priva di assicurazione, mentre circa il 23% è sottoassicurato. Come scrive Politico, nel 2022, più di un americano su quattro ha dichiarato di aver rinviato o evitato cure mediche, farmaci prescritti, assistenza sanitaria mentale o cure odontoiatriche a causa dei costi. inoltre, secondo un sondaggio del novembre 2023 solo il 31% degli americani si fida del sistema sanitario nazionale.
Brian Thompson, oltre che CEO della UnitedHealthcare, era il volto e il simbolo della compagnia assicurativa più importante d’America, che è anche l’ottava azienda al mondo per fatturato. È, inoltre, risultata essere la compagnia sanitaria americana con il più alto tasso di rifiuti per le richieste di assistenza, pari al 32% contro una media che si aggira attorno al 17%.
Quello a cui la vicenda ha dato vita ha dell’incredibile: il colpevole del delitto è stato oggetto del supporto incondizionato di una parte della popolazione statunitense che lo ha idealizzato come se si trovasse davanti ad una rielaborazione in chiave moderna di Robin Hood, il leggendario fuorilegge inglese che viveva nella foresta di Sherwood che “rubava ai ricchi per dare ai poveri”. La mania generatasi attorno a questo personaggio è stata così grande tanto da lanciare una raccolta fondi per pagargli le spese legali che ha raggiunto quota 120mila dollari.
Per dare un senso a questo sentimento di “stima” nei confronti di un assassino può venirci in aiuto la psicologia sociale. Ciò che accomuna Mangione a Robin Hood (e a tutta una serie di “banditi”) è la percezione di trovarci di fronte ad una persona comune che si scaglia con azioni dure (ed anche violente) contro un membro di un gruppo privilegiato che incolpiamo come causa dei nostri problemi.
Proviamo a spiegarci meglio: come abbiamo detto, la popolazione americana condivide un senso di forte sfiducia sia nei confronti del sistema sanitario, sia verso le istituzioni statali in generale. In questo contesto, il malcontento percepito si trasforma in un sentimento di rabbia, che può essere espresso in svariati modi e contro svariati soggetti appartenenti a quell’élite considerata la causa delle difficoltà e delle ineguaglianze che colpiscono la “gente comune”. In questo senso, Luigi Mangione è visto come “uno di noi”, una persona che appartiene al nostro stesso gruppo sociale svantaggiato, che ha avuto il coraggio di compiere una forte azione contro il rappresentante più importante di quel sistema che consideriamo causa dei nostri mali.
In questo senso, buona parte della popolazione americana vede Luigi Mangione come un eroe, una persona che ha avuto il coraggio di ribellarsi al sistema e che ha provato, con un gesto estremamente violento, a portare giustizia sociale e dignità alla gente comune, che si sente “oppressa” da questo sistema.
Tuttavia, non è affatto scontato che movimenti di protesta vengano così largamente condivisi dalla popolazione. Proviamo a paragonare questo atto ideologico e violento alle proteste pacifiche di manifesta contro il cambiamento climatico: seppure pacifiche, infatti, le azioni dei manifestanti per il clima vengono aspramente criticate e condannate dall’opinione pubblica. Questo perché, a differenza di Mangione, i manifestanti per il clima non si limitano a puntare il dito contro un’élite, accusando i poteri forti di essere la causa dei nostri mali, ma mettono sul piatto una questione in cui il coinvolgimento collettivo è condizione necessaria per un miglioramento.
A questo punto, indipendentemente dalla bontà degli argomenti e delle intenzioni di chi manifesta, l’individuo che si trova di fronte ad una presa di coscienza che porta al mettere in discussione sé stessi e i propri atteggiamenti, dannosi o passivi di fronte al problema, preferisce semplicemente spostare l’attivista, collocarlo altrove, farlo appartenere ad un gruppo estremista ed esagitato, vedendolo diverso da sé e non condividendo il suo messaggio. Detto in altri termini: l’essere umano, piuttosto che mettersi in discussione, interrogarsi su cosa può fare per cambiare le cose, preferisce disprezzare chi lo mette di fronte ad una verità scomoda, chi cerca di convincerlo a cambiare i suoi comportamenti e le sue abitudini. Non dovrebbe quindi sorprendere il meccanismo di empatizzazione con l’autista che esasperato si scaglia con violenza contro l’attivista col cartello in mezzo alla strada che blocca il traffico.
In conclusione, siamo attratti da chi ha il coraggio di puntare il dito contro un gruppo esterno, chi ci offre un nemico con cui prendercela, e chi compie azioni (anche estreme) per cercare di migliorare il nostro status quo. Al contrario, fatichiamo a condividere le iniziative, seppur pacifiche, di chi ci richiede uno sforzo proattivo per cambiare le cose, senza offrirci un capro espiatorio da incolpare per il nostro disagio. Questi meccanismi di identificazione portano a paradossali valutazioni, capaci di farci condannare “un gruppo di fanatici attivisti” e, al contempo, celebrare le gesta di un assassino.
Image Copyright: CNN
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