The Brutalist (2024)
- Koinè Journal
- Mar 21
- 4 min read

di Stefano Lazzarini e Leonardo Protano.
Introduzione
The Brutalist, diretto da Brady Corbet, racconta la storia di László Toth (Adrien Brody), un architetto ungherese sopravvissuto all’Olocausto che emigra negli Stati Uniti con la moglie Erszebét (Felicity Jones). Spinto dall’ambizione di lasciare un segno nel mondo dell’architettura, accetta una commissione da un influente committente americano, ma questo lo porta in un vortice di compromessi morali e personali. La narrazione si sviluppa lungo trent’anni seguendo l’ascesa del protagonista verso la realizzazione del proprio estro artistico, tuttavia in questo percorso di emancipazione personale c’è un prezzo da pagare non indifferente.
Evoluzione dei personaggi: un labirinto senza uscita
László è un personaggio in perenne tensione tra l’arte e la realtà, tra la purezza della sua visione e le esigenze pratiche del potere. Il suo percorso è una spirale discendente, mano a mano che procediamo con la narrazione si assiste allo sgretolamento progressivo e incessante della propria integrità.
Il rapporto con Erszebét, inizialmente saldo, si logora fino a un’alienazione reciproca: lei osserva impotente il marito trasformarsi in un’ombra di se stesso, sempre più ossessionato dalla grandezza e meno connesso con il mondo reale.
Il committente (Guy Pearce), simbolo di un mecenatismo perverso, incarna il punto di rottura definitivo: il suo desiderio di immortalità architettonica si trasforma in una vera e propria ossessione, trascinando László in una visione artistica che confina con la follia.
Fotografia e architettura: estetica del potere e della decadenza
Girato in pellicola 35 mm formato VistaVision, il film ha una fotografia raffinata e geometrica, che enfatizza la monumentalità degli spazi e il contrasto tra l’idealismo dell’architettura brutalista e il degrado morale dei suoi protagonisti.
L’elemento architettonico non è solo sfondo, ma parte integrante della narrazione: le costruzioni imponenti, gli spazi vuoti e le linee nette sottolineano la solitudine e l’inquietudine crescente dei personaggi.
Un momento chiave è la scena ambientata nelle cave di marmo di Carrara, in cui il committente, ormai divorato dalla sua ossessione, vede nella pietra l’incarnazione della perfezione assoluta. La luce naturale scolpisce le superfici del marmo come se fossero vive, trasformando il luogo in una cattedrale della follia, un tempio in cui l’arte diventa delirio.
Questa sequenza, tanto estetica quanto disturbante, racchiude l’intero significato del film: la grandezza e la distruzione, la bellezza e il sacrificio, la creazione e l’annientamento.

Brutalismo e sogno americano
Se László Tóth, geologo e criminale ungherese, nel 1972 imbratta la Pietà di Michelangelo annunciandosi come “Cristo risorto”, alla stessa stregua l’omonimo protagonista del film, forgiatosi alla Bauhaus, fa del brutalismo la sua filosofia: superare, soppiantare, ribaltare violentemente il passato.
Durante la pellicola il regista lascia ben poco spazio all’interpretazione, tant’è che nelle prime sequenze del film, come in locandina, vediamo la Statua della Libertà capovoltacon un movimento di macchina – da qui, la sintesi del lavoro di Tóth.
Dopo la guerra Tóth emigra in America per tentare di raffazzonare gli stralci di una vita rubata e riunirsi con la sua famiglia. Qui incontra Van Buren, un miliardario innamorato della sua architettura visionaria, che si pone a lui come mecenate, commissionandogli un grosso progetto in onore della madre. Da questo momento inizia il sogno dell’architetto, che si tramuterà presto in un incubo. The Brutalist è questo: la narrazione del fallace American Dream.
«Una biblioteca, una palestra, un auditorium, una chiesa: sono quattro edifici, non uno!»
Chi è László Tóth? Qual è la sua identità? E l’identità “di quelli come lui”? Qual è il loro posto? L’America li ripudia, e loro lo sanno. In questo razzismo, Van Buren sevizia mentalmente e fisicamente il protagonista in una dialettica di potere che, storicamente, è destinata a non risolversi. Cosìl’impegno dell’architetto diviene simbolo di redenzione, tanto da andare contro tutto e tutti, mettendo mano anche nelle proprie tasche, al fine di portare a termine il progetto come studiato. Nessun cambiamento, nessuna tolleranza: il medesimo comportamento di Van Buren e della società americana verso i nuovi immigrati.L’edificio-memoriale per László Tóth è un atto di resistenza e completarlo vuol dire sublimare catarticamente la sua condizione (e quella di “quelli come lui”).
Il finale, perentorio e forse troppo didascalico, ci mostra, durante la Biennale di Architettura di Venezia del 1980 – dove nella realtà si fondò il Postmodernismo con La Strada Novissima – il centro comunitario realizzato e compiuto, con la narrazione di Zsófia, che racconta e spiega il significato dell’edificio dello zio. Nello specifico, l’interno del centro, le misure e le altezze, sono studiate per assomigliare al campo di concentramento di Buchenwald, dove László fu deportato.
Conclusione
Nonostante la durata di tre ore e un quarto, il film mantiene un’intensità narrativa che cattura l’attenzione dall’inizio alla fine. Il velo di perenne inquietudine e il sapiente gioco di luci e ombre creano un’atmosfera coinvolgente, amplificando la tensione drammatica.
La narrazione lascia aperti interrogativi e si configura come una critica aspra al fallace American Dream. Allo stesso tempo, la fotografia, raffinata e geometrica, trasforma ogni spazio in una metafora della lotta tra creazione e distruzione.
The Brutalist si erge non solo come il racconto tragico di un architetto, ma come una meditazione sul prezzo dell’emancipazione personale dell’artista in perenne conflitto con la società. Con un budget limitato di 10 milioni di dollari, il regista regala un’opera audace e intensa che lascia riflessioni universali.
Critiche
•Finale sovraccarico: Il finale, seppur deciso, risulta a tratti troppo ricco di elementi. Cercare di evidenziare molteplici sfumature rischia di far perdere di vista il fulcro emotivo e narrativo, generando una certa confusione nello spettatore.
•Temi poco definiti: Numerosi temi appaiono sfocati e non sufficientemente sviluppati, il che indebolisce il messaggio complessivo del film.
•Enfasi insufficiente su scene cruciali: Alcune scene centrali, non vengono trattate con la necessaria chiarezza e intensità, lasciando intendere in modo ambiguo che si tratti di un abuso, con un impatto emotivo ridotto.
Image Copyright: Mymovies
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