di Valentina Ricci.
La campagna elettorale sta per volgere al termine e a questo punto tutti noi dovremmo avere le idee chiare su chi votare, ognuno dovrebbe aver trovato quel partito in cui riporre la propria fiducia. Ma siamo sicuri che i partiti si siano dimostrati all’altezza di queste aspettative? A noi non sembra.
L’Italia sta attraversando diverse crisi e forse è proprio questa concomitanza che rende il momento eccezionale. Ci sono le crisi dell’immediato futuro, quella economica e quella energetica (strettamente collegate), ci sono quelle del recente passato, del sistema sanitario e della ripresa post-Covid, e poi ci sono quelle endemiche (se così si possono definire), quella climatica e l’indebolimento dei sistemi democratici nell’opinione pubblica. Date le premesse, questa campagna elettorale avrebbe dovuto essere un momento di riflessione e di creazione di proposte audaci, lungimiranti, forti. E invece abbiamo passato un mese a scrivere articoli su quanto i programmi fossero datati o fantascientifici, o su quanto alcuni leader si dimostrassero inconsistenti e privi di polso. Con questo non vogliamo dire che non ci sia nemmeno una cosa giusta in tutto quello che si è detto in questo tempo, ma che sono troppe le cose sbagliate in un periodo in cui il margine di errore è poco.
L’impressione è che, tra proposte di tagli alla sanità o alle tasse senza la previsione di una copertura, posizioni poco chiare sull’invio delle armi in Ucraina e sull’allineamento con il resto dell’Europa, “innovative” politiche ambientali di una sinistra che sembra essersi svegliata appena adesso sulla crisi climatica, o losche amicizie con autocrati europei (e qui mi fermo perché si rischia di scadere nello stile oratorio di Salvini), non esista la possibilità di creare un dialogo tra le forze politiche che possa reggere il confronto con le sfide dei prossimi anni.
Aggiungiamo poi che il contesto non aiuta ad accreditare la serietà delle prossime elezioni: per via del Rosatellum non soltanto si è perso totalmente (o quasi) il legame tra i candidati e il territorio che rappresenteranno, ma i cittadini non sapranno neanche se i candidati che voteranno saranno effettivamente eletti nel loro collegio o in un altro (questo perché le candidature possono essere in più collegi). Inoltre, data la prevedibile sproporzione che ci sarà nei risultati di CDX e di CSX e il numero ridotto di parlamentari, si può dire che il Parlamento sia quasi del tutto disegnato e che il voto serva solo per rifinire e ratificare nomine avvenute a livello dirigenziale dei partiti. In pratica uno svuotamento del significato del voto che contribuisce a minare anche l’importanza che i cittadini gli conferiscono.
La somma di tutti questi elementi porterà quasi sicuramente a far salire l’astensionismo sopra al 30%, d’altronde, se da una parte esercitare il diritto di voto è conseguenza e garanzia del nostro vivere in libertà, dall’altra le stesse forze politiche a cui affidiamo la gestione di questa libertà non sembrano dare la giusta importanza all’evento, per i motivi di cui sopra.
Se la situazione non è particolarmente rosea vista da dentro, tanto meno lo è vista da fuori. Le testate estere si sono preoccupate inizialmente di un possibile rigurgito fascista in caso di vittoria di Meloni, per poi concentrarsi su questioni più realistiche, come le promesse elettorali insostenibili a livello economico. La cosa che salta all’occhio non è tanto l’allarmismo sulla vittoria della destra, quanto la perdita di speranza per un risultato soddisfacente della sinistra: l’allarmismo stesso sembra sottintendere una resa sulla possibilità che Letta (dipinto come il principale oppositore di Meloni) possa in qualche modo arginare la sua vittoria e creare un contrappeso di valore. Lungi da noi fare previsioni dalla palla di cristallo ed evocare spettri antichi come in una seduta spiritica, è innegabile che le posizioni di Meloni sulle sue simpatie sovraniste siano ondivaghe ed è comprensibile una certa tensione all’estero, soprattutto in Europa, considerata la quasi totale assenza di un contraddittorio.
Intanto il Premier uscente, Draghi, già con un piede sulla porta (con buona pace di Calenda), in una delle sue (probabilmente) ultime conferenze stampa dipana ogni dubbio sulla possibilità che possa ricoprire nuovamente l’incarico con un secco e liberatorio “No”. Allo stesso tempo non manca di rassicurare giornalisti e investitori sul buon senso degli italiani e delle forze politiche che governeranno, in un affettato quanto dovuto atto di fiducia nelle capacità dei suoi colleghi.
Davanti a questo quadro non ci resta che augurare buon voto a tutti, a coloro che sanno già dove apporre la x, a coloro che non la segneranno e a coloro che con una mano scriveranno e con l’altra si tapperanno il naso, consapevoli che con la fine dei giochi arriverà la resa dei conti.
Lascio in calce le altre puntate dei nostri editoriali sul voto del 25 settembre, basta cliccarci:
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