di Denise Capriotti.
Il 7 gennaio 1978, un commando di estrema sinistra uccise due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, davanti alla storica sezione del MSI. Un terzo militante, Stefano Recchioni, perse la vita a seguito degli scontri che esplosero durante una manifestazione di protesta organizzata poche ore dopo l’agguato. Ogni anno, la memoria di questi giovani viene celebrata da gruppi neofascisti, in un rito che sembra rinnovarsi senza sosta.
Quest’anno, come nelle edizioni precedenti, centinaia di aderenti a CasaPound e altri militanti di estrema destra si sono radunati per commemorare le vittime. Circa 1.300 partecipanti hanno risposto in coro, ripetendo per tre volte il grido “presente” accompagnato dal saluto fascista. Il rituale, che ha visto anche l’affissione di targhe commemorative e marce con braccia tese, ha avuto luogo sotto l’attenta sorveglianza delle forze dell’ordine. Eppure, nonostante le evidenti violazioni della legge, nessuna azione è stata intrapresa nei confronti dei partecipanti, che manifestavano pubblicamente apologia del fascismo.
Mai come quest’anno si è registrato un raduno così numeroso e visibile, con i gruppi neofascisti che hanno sfoggiato un senso di impunità, apparentemente protetti da un clima politico che sembra chiudere un occhio sulle violazioni delle leggi democratiche. L’assenza di intervento delle autorità solleva gravi interrogativi sulla capacità dello Stato di applicare la legge in contesti di crescente polarizzazione politica.
In uno Stato che si definisce democratico, le forze dell’ordine avrebbero dovuto agire immediatamente. Tuttavia, la realtà è stata ben diversa. L’unica persona che ha avuto il coraggio di esprimere un dissenso chiaro, gridando “Viva la Resistenza”, è stata fermata, inseguita e identificata, mentre i partecipanti alla manifestazione sono stati lasciati liberi di proseguire senza impedimenti.
Il ragazzo coinvolto dichiara: “Invece che arrestare i manifestanti per apologia di fascismo, identificano chi si appella alla Costituzione. Giustissimo che si ricordino le vittime di quel periodo, ma questo non può giustificare un raduno di neofascisti, tra croci celtiche, saluti romani e richiami chiari al ventennio. È inaccettabile e lo sarebbe per qualsiasi paese abbia subito gli orrori del fascismo e del nazismo. Inaccettabile per chiunque queste cose le abbia studiate. Forse qualcuno non ha studiato”
In Italia, l'apologia del fascismo viene perseguita grazie alla legge Scelba del 1952, firmata dal presidente Einaudi e voluta dal ministro dell'Interno Mario Scelba, definisce il reato di apologia di fascismo come l’esaltazione di esponenti, principi o metodi del regime fascista con finalità antidemocratiche.
Tuttavia, la legge non considera reato la semplice difesa verbale del fascismo, ma solo quella che porterebbe alla riorganizzazione del partito fascista, come stabilito dalla Corte Costituzionale nel 1957. Di conseguenza, movimenti neofascisti possono continuare ad operare, purché non tentino di ricostituire il partito fascista. La legge, dunque, non vieta simboli o manifestazioni fasciste, se non legate a finalità di riorganizzazione politica.
A partire dal 1993, la legge Mancino ha integrato la legislazione con il divieto di incitamento all'odio razziale e discriminazione, introducendo aggravanti per atti di discriminazione. Nonostante le critiche di movimenti di estrema destra, la legge, come la Scelba, è stata spesso ritenuta compatibile con la libertà di espressione, lasciando ai giudici il compito di decidere, caso per caso, se applicare le disposizioni contro il fascismo o proteggere la libertà di opinione.
Il silenzio delle istituzioni, del governo e delle forze dell'ordine, in un contesto del genere, appare tanto più preoccupante.
La commemorazione di Acca Larentia si è trasformata, ancora una volta, in un’occasione per manifestare un’ideologia che, a distanza di quasi 50 anni, continua a sfidare le leggi dello Stato senza incontrare ostacoli significativi. Una riflessione che pone in evidenza la fragilità del sistema democratico di fronte alla diffusione di messaggi di odio e intolleranza.
L'essenza della democrazia, antitesi del fascismo, sanzionata dalle forze dell'ordine, si può racchiudere in questa frase che pronunciò il senatore Vittorio Foa all'indirizzo del fascista Giorgio Pisanò:
"Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore."
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